Employer Brand

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Monitorare l’Employer Brand

di Fabrizio Benassi

Richard Branson, imprenditore di successo, innovatore e persona che dispensa spesso pillole di saggezza manageriale, dice:

“I Clienti non vengono per primi, i collaboratori e i dipendenti vengono per primi. Se ti prendi cura dei tuoi collaboratori, loro si prenderanno cura dei clienti”.

Employer BrandParliamo ora di employer brand e di come i dipendenti e i collaboratori siano i migliori e più efficaci ambasciatori sul mercato del lavoro della vostra “eccellenza organizzativa”.

Qualunque azienda prima o poi si deve confrontare con il tema dell’employer brand, non fosse altro perché non averne uno influenza significativamente le performance di business.

Difficoltà a trovare risorse sul mercato del lavoro disponibili a lavorare per la vostra organizzazione oppure disponibili ma solo a determinate condizioni, di solito onerose economicamente.

La scarsità di risorse, per chi ha un brand aziendale debole, ovviamente influenza sia la qualità delle competenze che si riusciranno ad acquisire sul mercato che le buone attitudini lavorative (soft skills) e le affinità con l’organizzazione e la sua cultura.

Insomma si può far finta di non vedere o si può essere colpevolmente inconsapevoli dell’importanza dell’employer brand, ma prima o poi tutti i nodi verranno al pettine.

Cosa si può fare per prevenire ogni problema?

Il primo importante passo sarebbe quello di avere tutte le informazioni, ovvero di attrezzarsi per monitorare come l’organizzazione è percepita dai diversi clienti.

Prima le analisi e solo dopo le azioni.

Sul tema dell’employer brand abbiano sostanzialmente due fronti: quello interno e quello esterno e se vogliamo seguire il suggerimento di R. Branson dovremmo considerare quello interno come il più importante.

Per quanto conti, è lo stesso consiglio che mi sento di dare a chiunque voglia affrontare seriamente il tema della valorizzazione del brand aziendale sul mercato del lavoro.

Ma cosa vuol dire concretamente?

Un modo semplice per iniziare è quello di instaurare un monitoraggio permanente del clima aziendale.

Non interventi spot, caricati spesso di troppi significati ed aspettative, ma un monitoraggio costante che permetta di verificare l’andamento delle serie temporali, ovvero come evolve la soddisfazione nel corso del tempo.

Sarebbe però anche opportuno confrontare il livello di soddisfazione relativo, ovvero confrontarsi con altre organizzazioni utilizzando strumenti di rilevazione simili.

Il classico questionario è adeguato a questo scopo a patto di gestire molto bene le aspettative dell’organizzazione; ad esempio chiarendo che si tratta di un’analisi e che non necessariamente ci si deve aspettare un piano di azioni come conseguenza della compilazione del questionario.

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Renderlo uno strumento usato periodicamente, magari con l’ausilio di un supporto esterno ed indipendente, aiuta molto anche per avere i benchmark di soddisfazione del mercato.

Ovviamente si possono realizzare focus group per approfondire difficoltà specifiche dell’organizzazione e raccogliere sistematicamente i feedback, soprattutto informali che possono dare segnali di criticità.

Le Exit interview, preferibilmente delegate a soggetti esterni ed indipendenti dall’organizzazione, sono altrettanto importanti perché permettono di verificare costantemente le motivazioni dell’abbandono organizzativo.

Oggi però, con la rivoluzione dei BigData, è tecnicamente possibile utilizzare strumenti meno invasivi e che non richiedono il coinvolgimento diretto dei collaboratori.

E’ ormai concreta la possibilità di raccogliere ed utilizzare tutte le tracce che vengono lasciate sui diversi strumenti tecnologici utilizzati quotidianamente per avere la possibilità di verificare, sempre nel pieno rispetto dei diritti individuali alla privacy, il sentiment organizzativo.

Sono strumenti non dissimili da quelli utilizzati, in modo ormai intensivo, per il consumer insight.

Sul fronte esterno invece i social, ammesso che l’organizzazione sia attiva in questo senso, rappresentano una fonte inesauribile di dati e strumento di verifica potenzialmente efficacissimo. Certo bisogna saperlo usare.

Però i dati, così raccolti, hanno il difetto di essere non sempre di facile lettura e ancor più non semplici da sintetizzare.

Ma anche per questo i potenti strumenti ormai a disposizione per gestire i dati non strutturati possono aiutare molto.

E’ possibile, infatti, monitorare costantemente quali siano gli umori della rete rispetto al brand aziendale e anche monitorare se vi siano segnali che indicano problemi di retention o di attraction per il brand organizzativo.

Ci sono da questo punto di vista diversi prodotti / servizi già disponibili sul mercato e, siamo sicuri, altri ne arriveranno.

Insomma è possibile definire un set di strumenti, di cui alcuni più tradizionali ed altri più innovativi, che insieme potrebbero permettere a qualsiasi HR avveduto di avere un unico pannello di controllo con tutti i dati necessari per monitorare la salute della propria organizzazione e del proprio brand.

Su queste solide basi si può decidere come migliorare la presenza sul mercato del lavoro e focalizzare sempre di più tutte le attività e gli investimenti per l’attraction e la retention.

Insomma un vero e proprio HR marketing 2.0.

Per i più coraggiosi, la sfida è solo da raccogliere.

Bibliografia consigliata

Fabrizio Benassi su RisorseUmane-HR.it

Fabrizio Benassi

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