Intelligenza Artificiale nei processi HR - Intervista a Alessandra Lazazzara e Stefano Za

Intelligenza Artificiale nei processi HR

Intervista a Alessandra Lazazzara e Stefano Za

Come cambia la gestione delle Risorse Umane nell’era dell’intelligenza artificiale?
Qual è il ruolo del pensiero critico nell’adozione di strumenti digitali?
E quali sono i rischi, le opportunità e le competenze davvero necessarie per affrontare questa transizione?

Ne abbiamo parlato nel webinar moderato da Fulvio Palmieri, in dialogo con Alessandra Lazazzara e Stefano Za, autori del libro "Intelligenza Artificiale nei processi HR. Una gestione aumentata del personale" (Franco Angeli, 2025).

Un confronto ricco di spunti, che ha messo al centro il valore della consapevolezza e della progettazione, per evitare derive tecnodeterministe e costruire un uso davvero sostenibile, umano ed efficace dell’AI in ambito HR.

I nostri ospiti

Alessandra Lazazzara è Professoressa Associata di Organizzazione Aziendale e Gestione delle Risorse Umane presso l’Università degli Studi di Milano, dove ricopre il ruolo di Presidente del Corso di Laurea in Management delle Organizzazioni e del Lavoro. Insegna Organizzazione Aziendale e Digital HR and Analytics. È Associate Editor di Gender, Work and Organization. Ricopre il ruolo di Vice President di ItAIS (Italian Chapter of the Association for Information Systems).

Stefano Za è Professore Associato di Organizzazione Aziendale e di Sistemi Informativi presso il Dipartimento di Economia Aziendale dell’Università di Chieti-Pescara. È presidente del corso di studio magistrale in Economia e Management. Insegna Digital Transformation e Digital Business Organization. È Coordinatore Scientifico dell’Osservatorio ESO (Emerging Technology and SME Observatory) e Presidente di ItAIS (Italian chapter of the Association for Information Systems).

Un breve riassunto dell’intervista

Fulvio Palmieri (F.P.) ha moderato il confronto con Alessandra Lazazzara (A.L.) e Stefano Za (S.Z.), autori del libro Intelligenza Artificiale nei processi HR.

F.P. – Come nasce questo libro e cosa vi ha spinti a scriverlo insieme?
A.L. – È stato un incontro naturale. Lavoriamo entrambi nel mondo accademico, ma con approcci diversi: io mi occupo di HR e people analytics, Stefano di sistemi informativi e AI. Abbiamo unito le forze per raccontare l’AI nei processi HR in modo completo, accessibile e critico.
S.Z. – Esatto. Il nostro obiettivo era anche quello di tranquillizzare i professionisti HR: l’AI può fare paura, ma se compresa e guidata consapevolmente può diventare un potente alleato.

F.P.A chi è rivolto il libro?
S.Z. – A chi lavora nell’ambito HR, ma anche a manager, studenti, professionisti e chiunque voglia capire come l’intelligenza artificiale stia cambiando il modo in cui si gestiscono persone, processi e dati in azienda.

F.P. – Come è strutturato il libro?
A.L. – Segue il ciclo di vita del collaboratore: selezione, onboarding, formazione, performance management, fino alla retention. In ogni fase analizziamo gli strumenti AI utilizzabili, ma sempre con taglio pratico e con attenzione ai rischi, ai limiti e all’etica.

F.P. – Parliamo di AI generativa: quali vantaggi può offrire in ambito HR?
A.L. – Per esempio nella redazione dei feedback: l’AI può supportare il manager con suggerimenti personalizzati, aumentare la qualità del contenuto e la capacità di stimolare crescita nei collaboratori. Non è automatizzazione, è potenziamento.
S.Z. – Altro esempio: scrivere rapidamente un job posting partendo da pochi elementi chiave. Ma attenzione: serve sempre controllo umano. Il rischio è che tutto diventi standardizzato. Il prompt engineering e la personalizzazione sono fondamentali.

F.P. – E i rischi più significativi?
A.L. – Il primo è legato ai bias impliciti: anche se non inseriamo dati sensibili, l’AI può inferirli (es. genere, età). Poi c’è il tema della privacy: se si usano strumenti esterni, i dati rischiano di finire fuori controllo. Serve una governance chiara.
S.Z. – C’è anche il rischio di delegare troppo. L’AI non sa cosa vogliamo davvero: interpreta probabilità, non intenzioni. Va considerata come un collaboratore eccellente, ma “cieco”: va guidata, corretta, indirizzata.

F.P. – Il lavoro umano è davvero a rischio?
A.L. – Le attività più ripetitive sì. Ma i ruoli che richiedono pensiero critico, empatia, gestione dell’imprevisto sono difficilmente sostituibili. La sfida è sviluppare competenze ibride: sapere di HR e consapevolezza digitale.
S.Z. – Il vero punto è che serve una nuova alleanza tra persone e algoritmi. L’intelligenza artificiale può liberare tempo per le attività ad alto valore umano, ma solo se impariamo a collaborare con essa in modo consapevole.

F.P. – Un consiglio finale per chi ci ha seguito?
A.L. – Non fermatevi all’output. Allenate il pensiero critico. Ogni risultato va interpretato, verificato, discusso. La vera innovazione non è l’AI, ma l’uso che ne facciamo.
S.Z. – Considerate l’AI come un coach talentuoso: può sorprendervi, ma non capisce da solo il contesto. Spetta a noi guidarlo per far emergere il valore.

 

Cosa ci portiamo a casa da questo confronto?

1. L’AI non sostituisce l’uomo, ma ne amplifica le competenze (se guidata bene)
L’intelligenza artificiale può accelerare processi HR come il recruiting, la formazione o la scrittura dei feedback, ma non può sostituire il giudizio umano. Serve un pensiero critico capace di interpretare e adattare gli output.

2. Il ciclo del collaboratore va ripensato con strumenti predittivi e personalizzati
Il libro analizza tutto l’employee journey – dalla selezione alla retention – illustrando come l’AI possa intervenire in ciascuna fase, con approcci data-driven ma sensibili al contesto e ai bisogni individuali.

3. Non basta conoscere gli strumenti: serve consapevolezza dei rischi
Bias, privacy, opacità degli algoritmi: ogni tecnologia comporta rischi impliciti. Anche se non inseriamo dati sensibili, l’AI può inferirli. Per questo è fondamentale formare anche HR “non tecnici” a comprendere dati, modelli e limiti.

4. L’intelligenza artificiale va considerata come un collaboratore talentuoso (ma cieco)
Non va delegato tutto alla macchina: l’AI ha bisogno di una guida umana per comprendere contesto, valori e obiettivi. È uno strumento potente, ma non “intelligente” nel senso umano del termine.

5. La vera competenza oggi è saper porre domande, non solo ottenere risposte
Il vantaggio competitivo non è di chi usa l’AI, ma di chi sa usarla per generare domande migliori, interpretare l’output e costruire valore. Il pensiero critico diventa quindi una soft skill strategica per HR e manager.

6. L'AI può aumentare la qualità del feedback e lo sviluppo dei talenti
Uno dei casi più interessanti: l’uso dell’AI generativa per aiutare i manager a scrivere feedback efficaci. Il risultato? +13% di performance nei team che ricevono valutazioni personalizzate, chiare e orientate alla crescita.

7. Serve una governance aziendale chiara: dati, addestramento, policy
Dalla scelta tra modelli interni o generalisti (Copilot, ChatGPT) alla protezione dei dati aziendali, è cruciale definire policy e ambienti sicuri per evitare dispersione e perdita di vantaggio competitivo.

8. Il futuro non è nell’automazione, ma nella co-creazione uomo-macchina
Le professioni HR non scompaiono, ma cambiano. L’AI gestisce la routine; le persone si dedicano a ciò che richiede empatia, visione, etica. Serve un nuovo patto tra algoritmi e umanità, e chi lo sa costruire avrà un ruolo centrale.

Un messaggio finale
“Non dobbiamo cercare solo un output perfetto. Dobbiamo imparare a leggerlo, metterlo in discussione, adattarlo.”
Solo così l’intelligenza artificiale potrà diventare davvero uno strumento al servizio del lavoro umano, e non il contrario.

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Leggi la nostra recensione del libro:

Intelligenza Artificiale nei Processi HR – Recensione

 

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