“IO & CATERINA”- sarà la S(volta) buona?
Intelligenza artificiale e lavoro: una riflessione su competenze, relazioni e benessere
di Marika Lupi
Non me ne voglia la Gen-Z per la reference da Millenial (a cui appartengo) ma anche da boomer, perché l’imput per questo articolo, nasce dalla pellicola del 1980 e dal mio essere un po’ malinconica. Il framework della Digital Transformation e la sempre più presente Intelligenza Artificiale, ci fanno interrogare sul futuro. Voi ce l’avete un po’ di futuralgia? Un po’ di preoccupazione per il futuro?
Personalmente adotto un approccio olistico, tipico di chi come me, una Wellbeing Designer, si occupa di benessere aziendale e quindi sulla carta dovrei saper gestire l’impasse legati alle novità e ai cambiamenti; tutto sommato non posso esimermi dall’interrogarmi su un’altra tematica mainstream, ovvero l’uso e il consumo dell’AI. Credo che continuare a vederci come umani, riconoscendo una matrice di autenticità, e quindi di fragilità comune a tutti, ci renda unici, ci distingua, ci umanizzi.
Nel corso di questo articolo, condivido degli interrogativi che mi pongo, auspicando possano stimolare la vostra curiosità o dissipare dubbi che nutrite già.
Quali leve e quali competenze possiamo e dobbiamo tenere strette, evitando di impoverirci con una delega eccessiva all’AI, soprattutto se vogliamo rimanere, come dice il World Economic Forum[1], EMPLOYABLE? Il futuro sarà distinto tra chi saprà interagire, programmare e quindi guidare l’AI, e chi la subirà.
I team HR sono i custodi della cultura aziendale e i principali responsabili della gestione del cambiamento all’interno delle organizzazioni. È essenziale creare un ambiente di lavoro in cui le persone non solo siano pronte ad accettare l’AI, ma siano disposte ad integrare il proprio lavoro con essa.
Spoiler sul primo aspetto critico relativo all’integrazione dell’AI. È l’impatto sulle competenze richieste alla forza lavoro che preoccupa forse; perché mentre alcuni ruoli diventano obsoleti, emergono nel contempo nuove opportunità che richiedono abilità diverse e, secondo lo State of the Global Workplace 2022 di Gallup[2], l’engagement dei lavoratori è strettamente legato alle opportunità di apprendimento e di crescita fornite dall’azienda. I team HR, devono quindi progettare e implementare programmi di sviluppo e riqualificazione che preparino i dipendenti a lavorare efficacemente con le nuove tecnologie, garantendo un uso etico e produttivo delle stesse.
Qualche tempo fa è diventato virale su LinkedIn un post “I want AI doing my laundry and dishes, not my writing AI come”. Chi vi scrive è una donna, una donna lavoratrice, una donna che ha creato una professione e che si fa sistematicamente portavoce di processi trasformativi nel suo territorio e quella futuralgia ce l’ha, tuttavia, fa appello alla plasticità del cervello e alla fluidità delle carriere e del nuovo mondo del lavoro, in cui è opportuno, per usare una metafora, valutare l’AI come l’elettricità: dipende dall’uso che se ne fa.
Io come donna mi sento già un’intelligenza artificiale multipla, fosse solo per le tante attività quotidiane che concilio e gestisco. L’AI certamente aiuta nei processi di engineering, di semplificazione, di ottimizzazione della performance. Fatemi dire che ritengo opportuno venga insegnata, portata nelle scuole, resa accessibile a tutti con semplicità, in modo che possa essere veramente un game changer nella vita di tanti.
Teniamo conto che l’intuizione, la creatività umana, sono aspetti ancora difficili da replicare essendo il frutto della nostra qualità relazionale. L’Intelligenza Artificiale è in grado di suggerire soluzioni basate su dati storici (per adesso) ma non ci riesce (per adesso) a cogliere le sfumature emotive di una situazione complessa e quando si tratta di decisioni etiche, l’AI segue le istruzioni e non è in grado di discernere tra giusto e sbagliato. È indubbio che liberi tempo da attività ripetitive, tuttavia non posso non attenzionare che la maggior parte delle cose che impariamo e che ci stanno a cuore, proviene da relazioni con altri esseri umani come noi. È l’umanizzazione la prima vera autentica Accademia formativa. Le persone, sono la più grande risorsa che potremo avere nella nostra vita, e no non lo scrive un HR, non lo scrivo perché formazione e professione mi hanno fatto sviluppare una visione molto umanocentrica, ma perché ci credo. Con questo articolo, voglio fornirvi una bright side nel link AI-PERSONE.
Mi avvalgo nel farlo, di uno strumento che potrebbe apparire in contrasto: l’AI come veicolo per aiutare e favorire il benessere aziendale e personale, di cui, ça va sans dire, mi faccio portavoce. Posto che il lavoro ha un ruolo attivo nell’alimentazione del benessere e considerando l’intelligenza artificiale come uno strumento che lo agevola in diversi aspetti; allora usiamola. Se riduce i tempi, se migliora il risultato, se ci chiarisce le idee, se ci amplia lo zoom, usiamola. Se quel tempo risparmiato, è un tempo guadagnato ed investito nel benessere personale, usiamola.
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La parola chiave è ALLEANZA tra noi e l’Ai. Non sbrigherà tutte le faccende domestiche, ma se ci aiuta ad assolvere altri compiti, beh allora… “take in the good” lasciamo entrare il bello, seguiamo il flow.
Ed eccovi servita, per par conditio, anche una dark side di quell’alleanza, arginabile come dicevano i latini, se la si usa cum grano salis e con un approccio critico e strategico. Iniziamo.
Riprendendo l’incipit del mio articolo, in cui non a caso, cito un film di Alberto Sordi del 1980, “Io e Caterina“[3], durante il quale viene esplorato, in modo non troppo ironico, il rapporto tra l’uomo e la macchina, evidenziando non solo i benefici pratici, ma anche le implicazioni emotive e sociali.
Alberto Sordi in Enrico Melotti, il protagonista, sviluppa un legame complesso con Caterina, che va oltre il semplice utilizzo pratico, toccando aspetti di affetto e dipendenza. Nel contesto attuale, con l’avanzamento delle tecnologie di intelligenza artificiale e robotiche, la visione di “Io e Caterina” appare profetica. Non è solo una commedia leggera: è un’opera che offre spunti di riflessione profondi e attuali sul futuro della robotica domestica e sull’Ai in generale. Il film di Alberto Sordi ci invita a considerare con attenzione le implicazioni del vivere con robot umanoidi, dell’utilizzo di tutto ciò che concerne l’Ai, preparandoci ad un futuro in cui la coabitazione con tali macchine sarà sempre più integrata e complessa. Allora cosa si salvaguardia?
Una caratteristica dell’essere umano nei processi creativi è il continuo avvicendamento di pensiero e creazione. Scrivere, dipingere, suonare, costruire ci aiutano a pensare. Ce ne accorgiamo pensando alla nostra esperienza individuale: se scriviamo un diario per riflettere su noi stessi, quando disegniamo schemi sui fogli per spiegare meglio i concetti. Creando, mettiamo in comunicazione il nostro pensiero con il mondo e lo arricchiamo continuativamente grazie ai feedback che otteniamo dagli altri, migliorando di conseguenza anche le nostre creazioni.
Delegando lo sforzo operativo di creazione a Chat GPT, rischiamo di diventare non più capaci di pensare. Harold Jarche, comunicatore e giornalista, ha scritto “Scrivo quindi Penso”[4], ma anche l’AI scrivendo aiuta a pensare: tramite l’output creato, l’Intelligenza Artificiale recupera feedback e migliora i propri modelli di interpretazione, imparando a pensare meglio.
Pensiero deriva dal latino “pensum”, il peso della lana grezza da trasformare in filato. Qualcosa da trattare. Proprio da questa concretezza manuale, viene il verbo pensare. È la mancanza di limiti che riduce la creatività dell’AI. L’algoritmo che trova sempre la soluzione ottima, non sarà mai realmente creativo, non sarà mai artigiano del proprio sapere e del proprio fare. Certo, non passerà troppo tempo prima che l’intelligenza artificiale riesca a superarci nella capacità di analisi e ragionamento. La gran parte delle attuali attività lavorative e produttive potranno essere svolte dall’IA meglio di come le facciamo noi. È molto probabile che arriverà un momento in cui l’Intelligenza Artificiale sarà così avanzata da poter migliorare se stessa in modo esponenziale, portando a un rapido aumento della propria capacità, al di là di ciò che noi esseri umani potremo comprendere o controllare. Ma sarà forse proprio in quel momento che l’intelligenza artificiale, come uno Zeus innamorato, invidierà la nostra umanità limitata e imperfetta e allora il contatto, la relazione è e resterà davvero un lusso.
Preserviamo la nostra umanizzazione. Sì, ma come? Ce lo suggerisce Minutolo con “I Robot non sanno fare networking”[5]. Networking che è funzionale alle relazioni, al lavoro, alla conoscenza in re ipso; ed è nella relazione che si trova l’evoluzione perchè oltre alle hard-skills, come esseri umani dobbiamo sviluppare quelle che preferisco chiamare, per ovvie ragioni, LIFE-SKILLS.
Aggiungo una considerazione che ci fornisce una visione complementare ma comunque utile a ciò di cui scrivo. Per quanto attiene alla motivazione intrinseca che guida ciascuno di noi a lavorare, secondo McClelland[6] tre sono i driver: potere, successo e affiliazione. Comunque la si giri, sia che si lavori per la prima, per la seconda o per la terza, qualunque sia la forza motrice che rappresenta il nostro purpose, l’AI sarebbe comunque uno strumento utile al perseguimento dei propri obiettivi. Oggi dati dimostrano che si è assistito ad una sorta di crowding down effect sul ritenere il denaro, lo stipendio, una motivazione per lavorare, mentre prevale l’esigenza di work-life balance e allora per tornare alla bright side dell’AI: se vi offrono una soluzione per guadagnare tempo e quindi per stare meglio, voi non la usate?
In questo cubo di Rubik di variazioni, di colori che trovano un nuovo assetto, come convivere e non farsi sopraffare dalla futuralgia? Concependo l’AI come un super-potere che coadiuva il benessere. Quest’ultimo non è residuale, non è accessorio. E’ centrale, perchè il benessere aziendale diventa benessere familiare. Se l’AI ci aiuta a recuperare spazio, se ci aiuta ad essere presenti, se ci tutela dal lavorismo, se ci aiuta a flaggare le nostre “to do list” nel rispetto del nostro ritmo e per una migliore sostenibilità umana, beh vale la pena considerarla la s(volta) buona.
***
NB: Questo articolo non è stato scritto né da Caterina, nè dalla mia amica AI, rispettiamo i nostri confini e questo è il mio spazio creativo.
Bibliografia e sitografia
- [1] WEF, Future of Jobs 2023
- [2] State of the Global Workplace 2022 di Gallup
- [3] Alberto Sordi, “Io e Caterina”,1980 – Wikipedia.
- [4] Harold Jarche – I write therefore I think
- [5]
- [6] David McClelland, Achieving Society, Free Press, 1967 –
- [6] David McClelland, Human Motivation, Cambridge University Press, 2009
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Risorse aggiuntive
Bibliografia consigliata
- Yuval Noah Harari “
- Francesca Rossi, “Intelligenza artificiale. Come funziona e dove ci porta la tecnologia che sta trasformando il mondo”, Laterza, 2024
- Il duplice enigma. Intelligenza artificiale e intelligenza umana”., Einaudi, 2024
- Martin Ford “Il futuro senza lavoro. Accelerazione tecnologica e macchine intelligenti. Come prepararsi alla rivoluzione economica in arrivo”, Il Saggiatore, 2017
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