Settimana Corta sogno, tabù o opportunità mancata

 

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Settimana Corta: sogno, tabù o opportunità mancata?

Abbiamo posto una domanda semplice, ma decisiva in una survey su LinkedIn: Qual è, secondo te, il principale ostacolo all’adozione della settimana lavorativa di 4 giorni nelle aziende italiane?

di RisorseUmane-HR.it

Settimana Corta: sogno, tabù o opportunità mancata? Una provocazione, forse. Ma anche un tentativo concreto di capire a che punto siamo — culturalmente, strategicamente, operativamente — rispetto a un modello di lavoro che in altri Paesi sta guadagnando terreno, ma che da noi continua a suscitare più dubbi che entusiasmo.

In questo articolo analizziamo i risultati di una nostra survey condotta su 378 professionisti HR su LinkedIn, mettendo in luce gli ostacoli percepiti all’adozione della settimana lavorativa corta in Italia: limiti manageriali, rigidità organizzative, sostenibilità economica.

Approfondiamo le barriere culturali ancora radicate nelle imprese, ma anche le proposte emerse dal confronto tra esperti del settore — dall’ipotesi di un osservatorio nazionale a strumenti operativi per le PMI.

Abbiamo poi confrontato dei dati OCSE e studi del Boston College, che mostrano come produttività e benessere possano migliorare proprio riducendo le ore lavorate.

Una riflessione articolata, che mette a fuoco rischi, opportunità e scenari futuri per chi guida il cambiamento nel mondo del lavoro.

La domanda: Qual è, secondo te, il principale ostacolo all’adozione della settimana lavorativa di 4 giorni nelle aziende italiane?

Cosa ci hanno risposto 378 professionisti italiani

I dati sono chiari. Il 56% ha indicato nei limiti manageriali la principale barriera. Seguono l’incompatibilità produttiva (23%), la sostenibilità economica (16%) e un 5% che ha segnalato altri ostacoli, spesso legati a specificità di settore o mancanza di riferimenti normativi.

Settimana corta- i principali ostacoli

Ma i numeri, da soli, non bastano

Sono le parole dei partecipanti, i commenti articolati e le testimonianze dirette a raccontare davvero cosa frena oggi l’adozione della settimana corta.

Barriere culturali: più profonde di quanto sembri Il primo vero ostacolo è culturale. Non tanto perché le persone siano contrarie in sé all’idea di lavorare meno giorni, quanto perché il modo in cui concepiamo il lavoro è ancora legato al tempo e alla presenza, non al valore prodotto.

La cultura del controllo è ancora dominante. In molte realtà italiane, essere al proprio posto — visibile, reperibile, presente — vale più del risultato ottenuto. Questo approccio, spesso inconsapevole, rende difficile anche solo immaginare un’organizzazione che si fondi sulla fiducia e sull’autonomia.

C’è poi il tema dell’equità percepita: se la settimana corta viene concessa solo a determinati ruoli (digitali, amministrativi, “remotizzabili”), il rischio è quello di creare malumori e tensioni interne. Chi resta escluso può percepire una forma di disparità non giustificata, e ciò mina il senso di coesione organizzativa.

Settimana corta: le sfide organizzative tra realtà e percezione

Sul fronte organizzativo, le criticità non mancano. L’adozione di una settimana su quattro giorni implica una revisione profonda dei processi, delle priorità, delle modalità di lavoro. E qui entrano in gioco diversi fattori:

Una leadership spesso impreparata a gestire un modello più flessibile e meno gerarchico.

Sistemi produttivi rigidi, che mal si adattano a ristrutturazioni dei turni o riduzioni orarie.

L’assenza di un quadro normativo e di incentivi pubblici che rendano sostenibile, soprattutto per le PMI, una sperimentazione consapevole.

La difficoltà di applicare il modello in alcuni settori ad alta intensità operativa o con copertura continua (sanità, trasporti, commercio, customer service).

Il rischio che una settimana “corta” si trasformi in una settimana “più intensa”: stesso carico di lavoro compresso in meno tempo, con impatti sullo stress e sul benessere psicofisico.

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Settimana corta: quali soluzioni? Le proposte emerse dal confronto

Nonostante gli ostacoli, alcuni HR hanno indicato azioni concrete e realizzabili per accompagnare la trasformazione verso una settimana lavorativa più sostenibile.

Accanto all’analisi critica degli ostacoli, molti professionisti HR hanno suggerito azioni concrete per rendere possibile la settimana lavorativa corta, trasformando un’idea percepita da molti come utopica in un obiettivo realistico. Tre proposte, in particolare, sono emerse con forza e chiarezza:

Un Osservatorio Nazionale

È stata avanzata l’idea di costituire un osservatorio pubblico o misto, con l’obiettivo di raccogliere dati aggiornati dalle sperimentazioni già attive, monitorare in modo sistematico gli effetti reali in termini di produttività, benessere e turnover, e soprattutto di diffondere modelli organizzativi che hanno dimostrato di funzionare. Non serve reinventare tutto ogni volta, ma saper valorizzare e trasferire le esperienze virtuose già esistenti.

Kit operativi pensati per le PMI

Per le piccole e medie imprese – che spesso non dispongono né di risorse interne né di competenze dedicate al change management – i partecipanti propongono la realizzazione di strumenti pratici e adattabili. Kit capaci di guidare passo passo la riorganizzazione dei flussi, la riprogettazione dei turni e la gestione dei team su quattro giorni, garantendo continuità operativa senza sacrificare l’efficienza.

Maggiore trasparenza sui dati di impatto

Molti HR sottolineano l’urgenza di disporre di una base oggettiva e condivisa su cui costruire il dibattito. Servono dati concreti: indicatori chiari su produttività, retention, qualità del lavoro e benessere. Metriche semplici ma affidabili, in grado di supportare decisioni manageriali e politiche. E soprattutto, dati comparabili tra settori e accessibili anche a chi guida piccole strutture o sindacati territoriali.

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Cosa dicono i dati OCSE e il Boston College?

Il dibattito sulla settimana lavorativa di quattro giorni si arricchisce di evidenze empiriche, sia macroeconomiche che organizzative. Ma cosa ci dicono realmente i numeri?

Per comprendere appieno il contesto, è fondamentale definire con precisione i termini chiave secondo le metodologie dell’OCSE.

Per “ore lavorate” si intende il numero totale di ore effettivamente lavorate all’anno, diviso per il numero medio di persone occupate nello stesso periodo.

Questa definizione include le ore di lavoro regolari di lavoratori a tempo pieno, part-time e stagionali, nonché gli straordinari retribuiti e non retribuiti e le ore lavorate in lavori aggiuntivi.

La “produttività del lavoro” è definita come il prodotto interno lordo (PIL) reale per ora lavorata. Questa metrica è considerata più accurata rispetto al PIL per dipendente, in quanto cattura meglio l’utilizzo degli input di lavoro, misurando l’output per unità di tempo lavorata.   

Ore lavorate e produttività: la mappa europea (OCSE)

Secondo gli ultimi dati dell’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico (OCSE), i Paesi europei con meno ore lavorate all’anno tendono ad avere una produttività oraria più elevata.

Ore lavorate e produttività: la mappa europea

L’osservazione di questi dati rivela che paesi come Grecia e Portogallo si trovano tra quelli con il maggior numero di ore lavorate annuali, mentre Germania e Danimarca sono tra quelli con il minor numero di ore. Allo stesso tempo, i paesi con un numero inferiore di ore lavorate annuali (Germania, Danimarca, Austria, Svizzera) mostrano una produttività del lavoro per ora significativamente più elevata rispetto ai paesi con un numero maggiore di ore lavorate (Grecia, Italia, Spagna, Portogallo).   

Tuttavia, è fondamentale considerare le sfumature metodologiche associate ai dati OCSE sulle ore lavorate.

L’OCSE stessa avverte che i dati sulle ore lavorate annuali sono “non adatti per confronti del livello medio di ore lavorate annuali per un dato anno, a causa delle differenze nelle loro fonti”. Questi dati sono intesi principalmente per analizzare le “tendenze nel tempo”.

Inoltre, la media delle ore lavorate annuali per persona è influenzata dalla composizione dell’occupazione di un paese; ad esempio, una maggiore proporzione di lavoratori autonomi tende ad aumentare le ore medie annuali, mentre una maggiore incidenza di lavoratori part-time tende a diminuirle.

La relazione tra ore lavorate e produttività è complessa e non unidirezionale. Un’interpretazione alternativa o complementare è che una maggiore produttività possa consentire una riduzione dell’orario di lavoro, piuttosto che il contrario. I dati indicano che “nei paesi in cui la produttività del lavoro è migliorata, portando a un aumento dei redditi, i lavoratori tendono ad aumentare il tempo libero e a ridurre le ore lavorate”. Questo suggerisce che la capacità di una nazione di raggiungere un’elevata produttività può precedere e facilitare la scelta sociale di orari di lavoro più brevi.  

Il contributo del Boston College: riorganizzazione e benessere

Gli studi coordinati dalla Prof.ssa Juliet Schor (Boston College) su centinaia di aziende in tutto il mondo dimostrano che la settimana corta:

  • Migliora la concentrazione e riduce lo stress. I lavoratori che hanno sperimentato una settimana lavorativa di quattro giorni, a parità di retribuzione, hanno riportato un aumento della felicità, un miglior riposo, una riduzione dello stress e un miglioramento della salute mentale e fisica, oltre a un aumento della qualità del sonno e della soddisfazione generale nella vita. 
  • Consente di spostare attività personali (visite mediche, commissioni) nel giorno libero, liberando il tempo lavorativo. Schor ha riscontrato che i dipendenti utilizzano questo giorno aggiuntivo per svolgere commissioni personali, appuntamenti medici, occuparsi delle faccende domestiche e trascorrere tempo con famiglia e amici. Questa riorganizzazione del tempo personale è un meccanismo chiave che può indirettamente migliorare la produttività durante la settimana lavorativa compressa, riducendo le distrazioni durante i giorni di lavoro effettivo.  
  • Favorisce la riorganizzazione dei processi, rendendo il lavoro più snello ed efficiente. Le aziende partecipanti agli studi hanno mantenuto o addirittura migliorato la loro produttività, principalmente attraverso l’eliminazione di attività a basso o nullo valore aggiunto, come riunioni troppo lunghe o inefficienti, e l’adozione di metodi di comunicazione più efficienti. Questo è in linea con la Legge di Parkinson, secondo cui “il lavoro si espande fino a riempire il tempo disponibile”.  
  • È associata a un aumento della retention, una diminuzione del burnout e spesso a maggiori ricavi aziendali. Le aziende hanno riportato un aumento dei ricavi, una diminuzione del turnover dei dipendenti, una riduzione dei costi sanitari e una maggiore capacità di attrarre e trattenere talenti. La settimana di quattro giorni si è rivelata un vantaggio competitivo significativo in un contesto di difficoltà nel reperire personale.  
  • Guardando al futuro, la Professoressa Schor ritiene che l’intelligenza artificiale (AI) sarà un “punto di svolta per la produttività”, rafforzando ulteriormente il caso a favore delle settimane lavorative più brevi.

In sintesi: i dati macro (OCSE) e le ricerche micro (Boston College) convergono su un punto fondamentale — la riduzione dell’orario non compromette la produttività, se supportata da una riorganizzazione intelligente del lavoro.

Un cambiamento profondo, non una scorciatoia La settimana corta non è una semplice riduzione dell’orario di lavoro. È una trasformazione profonda che riguarda il modo in cui pensiamo al lavoro, al tempo, al valore. È un’occasione per ridefinire:

la produttività (che non dipende dal numero di ore lavorate, come ci insegnano i dati OCSE); il benessere delle persone, che passa anche dal diritto al riposo e alla rigenerazione; la relazione tra azienda e dipendenti, che può diventare più basata su obiettivi, fiducia e reciprocità; la capacità delle aziende di essere più attrattive e trattenere i talenti, offrendo un work-life balance reale, non solo dichiarato. Non si tratta quindi di lavorare meno, ma di lavorare meglio. E vivere meglio.

Riconciliare le prospettive macro e micro è essenziale. Sebbene i dati OCSE presentino avvertenze metodologiche che limitano i confronti diretti sui livelli assoluti tra paesi, la correlazione osservata in Europa è chiara: i paesi con orari storicamente più brevi tendono a mostrare una maggiore produttività del lavoro per ora. La ricerca del Boston College fornisce una spiegazione concreta a livello micro per come la produttività possa essere mantenuta o addirittura migliorata in una settimana lavorativa più breve, attraverso la riorganizzazione del lavoro e la gestione del tempo personale.  

La direzione della causalità è complessa: la riduzione delle ore lavorative può portare a una maggiore produttività, ma una maggiore produttività può anche consentire di ridurre le ore lavorative.

Per i decisori politici, ciò implica che le strategie per aumentare la produttività o per implementare settimane lavorative più brevi devono adottare un approccio olistico, affrontando tutti i motori critici della produttività, come gli investimenti di capitale, l’adozione tecnologica, l’innovazione e il capitale umano.   

È importante riconoscere che i benefici della settimana lavorativa di quattro giorni vanno ben oltre le sole metriche economiche di produttività. La ricerca del Boston College evidenzia miglioramenti significativi nel benessere dei dipendenti, inclusa la salute mentale e fisica, la riduzione dello stress e del burnout, e un aumento della soddisfazione generale nella vita. Inoltre, la riduzione degli spostamenti casa-lavoro associata a un giorno libero aggiuntivo può contribuire a una diminuzione delle emissioni di carbonio, offrendo un beneficio ambientale. Questi impatti più ampi sul capitale umano, sul benessere sociale e sulla sostenibilità ambientale sono considerazioni cruciali per i decisori politici e gli strateghi aziendali.  

In definitiva, la settimana lavorativa di quattro giorni si sta affermando come un componente significativo dell’evoluzione futura del lavoro. Spinta dai progressi tecnologici, come l’intelligenza artificiale , e da una crescente enfasi sul benessere umano e sulla sostenibilità, la sua attrattiva di “buon senso” è sempre più supportata da osservazioni empiriche e studi a livello micro, anche se le relazioni economiche macro rimangono complesse e multifattoriali.  

E nella tua azienda? Avete mai discusso la possibilità di adottare la settimana corta?

Quali sono stati i principali ostacoli? E se l’avete già sperimentata, quali risultati avete ottenuto? Condividi la tua esperienza. Perché il cambiamento non nasce da un’idea, ma dal confronto tra idee.

I promotori della settimana corta sostengono che la produttività individuale aumenta con il diminuire dell’orario di lavoro settimanale. Questa scommessa, almeno in Europa, è confermata dalle ultime statistiche dell’Ocse. I Paesi dell’Europa occidentale dove si lavora più ore all’anno (Grecia, Italia, Spagna e Portogallo) hanno tra i tassi di produttività più bassi. Dall’altra parte i Paesi che lavorano meno ore all’anno (Germania, Danimarca, Austria e Svizzera) presentano tassi di produttività più alti. Inoltre, chi fa la settimana corta – spiegano i ricercatori del Boston College – tende a utilizzare il terzo giorno libero per appuntamenti dal medico o altre commissioni personali che altrimenti dovrebbe stipare in una giornata lavorativa.

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Fonti

 

RisorseUmane-HR.it
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Per mezzo dell’AI abbiamo creato in soli 2 minuti una canzone sulla settimana corta tratta proprio da questo articolo. Buon ascolto!

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