Il lavoro da offrire. La proposta da accettare - Intervista a Luca Furfaro, Valentina Marini, Filippo Poletti

Il lavoro da offrire, la proposta da accettare

Intervista a Luca Furfaro, Valentina Marini e Filippo Poletti

Come sta cambiando il significato di lavoro nell’epoca del welfare, dell’ESG e della ricerca di benessere?
Che cosa cercano davvero oggi le persone in un’offerta lavorativa?
E come possono le organizzazioni rispondere con proposte sostenibili, umane e innovative?

Ne abbiamo parlato in un webinar moderato da Fulvio Palmieri con gli autori del libro "Il lavoro da offrire. La proposta da accettare. Scelte consapevoli nell'era del welfare" (Franco Angeli, 2025): Luca Furfaro, consulente del lavoro, Valentina Marini, esperta di HR e comunicazione e Filippo Poletti, giornalista e LinkedIn Top Voice.

Un dialogo a tre voci che ha messo in luce il bisogno di una nuova narrazione del lavoro, capace di integrare bisogni reali, identità e sostenibilità.

Luca Furfaro ha introdotto il concetto di remunerazione integrata, evidenziando come oggi lo stipendio sia solo una componente di un sistema più ampio, il "total reward", che comprende benefit, flessibilità, partecipazione e welfare. Valentina Marini ha sottolineato l'importanza della coerenza tra ciò che un'organizzazione fa e ciò che comunica, avvertendo del rischio di "social washing". Filippo Poletti ha portato esempi concreti di imprese che stanno innovando realmente l'offerta, tra cui Enel, Ferrero, Siemens, Luxottica e Leroy Merlin.

Nel cuore del libro, oltre alla teoria e alle testimonianze, troviamo anche un kit di autovalutazione: uno strumento utile per lavoratori, freelance e HR manager, pensato per stimolare domande giuste più che dare risposte immediate.

Il messaggio che emerge è chiaro: non basta più offrire un lavoro, bisogna proporre un'esperienza significativa, sostenibile e coerente. E per farlo servono ascolto, consapevolezza e, soprattutto, parole nuove per raccontare il lavoro che cambia.

Un breve riassunto dell’intervista

Fulvio Palmieri (F.Pa.) ha moderato l'intervista a Valentina Marini (V.M.) Luca Furfaro (L.F.) e Filippo Poletti (F.Po.)

F.Pa. – Come nasce questo libro e cosa vi ha convinti a scriverlo insieme?
V.M. – È nato quasi per incastro naturale. Con Filippo ci siamo detti, in un evento di networking, che prima o poi avremmo scritto un libro insieme. Poco dopo, Luca mi ha chiamata con l’idea di scrivere un testo sul welfare aziendale. Mi sono accorta che c’erano tutti gli ingredienti giusti per unire le nostre competenze: la solidità normativa e tecnica di Luca, la capacità narrativa e giornalistica di Filippo, e il mio sguardo sul mondo HR e sulla comunicazione interna ed esterna. Da lì, il passo è stato breve. Abbiamo scelto di lavorare insieme proprio per dare voce a tre prospettive complementari sul lavoro di oggi.

F.Pa. – A chi si rivolge il vostro libro?
L.F. – A chiunque oggi viva il lavoro in prima persona. Non solo alle aziende, ma anche a professionisti autonomi, freelance, giovani in cerca di orientamento, e a chi si trova a fare scelte di carriera o cambiamento. Il sottotitolo parla di “scelte consapevoli nell’era del welfare”: è un invito ad andare oltre la superficie, a capire come il lavoro stia cambiando, e a fare scelte più informate e coerenti con i propri valori.

F.Pa. – Parliamo di retribuzione: cosa significa oggi, concretamente?
L.F. – La parola giusta, secondo me, è remunerazione. Non è solo lo stipendio: è un sistema complesso che comprende salario, premi di risultato, benefit, strumenti di welfare. La remunerazione efficace è quella che tiene conto delle reali esigenze dei lavoratori e va costruita come un “menù personalizzato”, non come un pacchetto standard. E soprattutto non va ridotta a un mero vantaggio fiscale. L’obiettivo dev’essere migliorare la qualità della vita delle persone, non solo ottimizzare il costo del lavoro.

F.Pa. – Quali sono i rischi più comuni nel costruire piani di welfare?
F.Po. – Il primo rischio si chiama welfare washing: presentare un’immagine di attenzione alle persone che in realtà non corrisponde alla verità. Per evitarlo, servono quattro attenzioni fondamentali:

  • ascolto autentico dei dipendenti,
  • soluzioni tailor made, non standardizzate,
  • continuità nel tempo,
  • capacità di adattamento alle esigenze che cambiano.
    Il welfare non può essere una tantum o una checklist da compilare per moda: deve essere coerente, dinamico e, soprattutto, credibile.

F.Pa. – Veniamo al nodo comunicazione. Come si comunica bene all’interno di un’organizzazione?
V.M. – Prima di tutto: comunicare. Sembra banale, ma tante aziende fanno cose eccellenti… e nessuno le conosce. Il problema spesso non è cosa si fa, ma come e quanto lo si racconta. L’e-mail, se ben scritta, è ancora uno strumento validissimo. Ma serve coerenza: non basta dichiarare inclusione o sostenibilità se poi i dipendenti vivono esperienze opposte. La comunicazione va fatta con costanza, con autenticità e coinvolgendo le persone, perché sono loro i veri ambasciatori dell’azienda. Il passaparola interno è il primo e più potente strumento di employer branding.

F.Pa. – Avete raccontato diverse esperienze aziendali. Quali vi hanno colpito di più?
F.Po. – Ne abbiamo raccolte 14 nel libro, ma ve ne cito cinque emblematiche:

  • Enel: ha esteso benefit sanitari e previdenziali anche dopo la pensione.
  • Ferrero: ha creato un vero e proprio ufficio servizi sociali interno per supportare la quotidianità dei dipendenti, dalla lavanderia al calzolaio.
  • Grenke: ha introdotto gli HR itineranti e un sistema di total reward personalizzabile.
  • Luxottica: ha sviluppato un welfare olistico, che coinvolge anche le famiglie dei dipendenti.
  • TD Synnex: garantisce il bonus anche durante malattia o congedi, senza penalizzare chi si assenta per motivi legittimi.
    Sono tutte esperienze che dimostrano come il welfare possa essere concreto, umano, e davvero trasformativo.

F.Pa. – Il libro si chiude con una sezione pratica. Cosa avete pensato per i lettori?
V.M. – Abbiamo creato una parte dedicata all’autovalutazione. Invece di fornire risposte preconfezionate, abbiamo raccolto domande potenti, proposte da coach, esperti di carriera, imprenditori e professionisti. Le domande spaziano da “Sono pronto a lavorare in autonomia?” a “Qual è il mio modo preferito di creare valore?”. È uno strumento pensato per chi vuole riflettere su di sé, rimettersi in discussione, capire se e come cambiare. In fondo, la vera innovazione oggi parte dalle domande giuste.

F.Pa. – Un messaggio finale per chi ci segue?
F.Po. – Raccontare il lato positivo del lavoro non significa ignorare i problemi, ma scegliere di valorizzare ciò che funziona. In Italia ci sono tante imprese che fanno bene, ma spesso non lo dicono. Parlare di buone pratiche genera cultura, fiducia e impatto. La comunicazione, se fatta bene, non è solo un esercizio di immagine: è una responsabilità verso il sistema sociale ed economico a cui apparteniamo.

Cosa abbiamo imparato?

Questo incontro non è stato solo la presentazione di un libro, ma un vero e proprio momento di confronto sulla direzione che sta prendendo il mondo del lavoro. Ecco, in sintesi, cosa ci portiamo a casa:

  • Non sempre si può scegliere se lavorare, ma oggi è più possibile scegliere dove e come
    Per la maggior parte delle persone il lavoro resta una necessità, non una scelta. Ma ciò che è cambiato – e che il libro sottolinea – è che oggi molti lavoratori cercano luoghi coerenti con i propri valori, condizioni sostenibili, relazioni sane. Il vero cambiamento non è nell’obbligo di lavorare, ma nella maggiore consapevolezza su dove farlo, con chi e a quali condizioni. È qui che le aziende si giocano la loro attrattività.

  • La remunerazione non è solo lo stipendio
    Luca Furfaro ci ha ricordato che oggi la remunerazione è un concetto ampio: comprende premi, welfare, benefit e – soprattutto – ascolto dei bisogni. Il denaro resta importante, ma non basta.

  • Fare welfare non significa seguire una moda
    Il welfare “vero” non è una lista di benefit a catalogo. È un sistema di supporto che evolve nel tempo, si adatta, ascolta e risponde ai bisogni reali delle persone. Evitare il welfare washing è una responsabilità etica e strategica.

  • Comunicare bene è parte integrante del valore offerto
    Come ha sottolineato Valentina Marini, non basta fare: bisogna anche saper raccontare, coinvolgere, rendere visibili le esperienze interne. E-mail, storytelling, coerenza tra parole e azioni: tutto conta.

  • Le persone sono il primo canale di employer branding
    Il passaparola interno è più credibile di qualsiasi campagna. Se chi lavora in azienda è soddisfatto e coinvolto, diventa automaticamente un ambassador. Senza bisogno di forzature.

  • Le esperienze aziendali virtuose esistono (e vanno condivise)
    Filippo Poletti ha portato esempi concreti – da Enel a Ferrero, da Siemens a TD Synnex – che dimostrano come il welfare può diventare reale, accessibile e misurabile. L’Italia non manca di buone pratiche: serve solo raccontarle meglio.

  • Le domande contano più delle risposte
    La sezione finale del libro lo dice chiaramente: oggi non serve una formula magica, ma la capacità di farsi le domande giuste. Solo così si può costruire un percorso consapevole, sia come lavoratore che come organizzazione.

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