La persona al centro: ma è davvero questa la chiave

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La persona al centro: ma è davvero questa la chiave?

di Paolo Speranza

Credo che ciascuno di noi, da qualsiasi prospettiva di business guardi, ha sentito fino allo sfinimento questa frase, uno slogan sbandierato e spesso vuoto, una direzione annunciata e spesso non intrapresa.

Ma davvero questa “persona” che tutti vogliono mettere al centro è felice di esserlo, ammesso e non concesso che l’intenzione ostentata sia poi agita?

La persona spesso non sa quale sia la strada migliore, ed è giusto che sia così. Non tutti sono imprenditori, manager, responsabili, leader, anche perché se lo fossimo tutti in quale mondo potremmo mai coesistere gli uni con gli altri?

In realtà il trend internazionale sta già rispondendo a questa domanda. Quando il termine “HR” viene sostituito da “People” o “People & Culture”, quando i bonus ad obiettivi sono sostituiti da bonus per la qualità del lavoro, quando i valori condivisi in un’azienda diventano le basi del well-being.

La risposta, quindi, guarda all’intero mondo della persona, non solo alla sua (presunta) soddisfazione immediata. Porre la persona al centro significa valorizzare e rispettare la sua soggettività, individualità, percezione, le sue aspirazioni, convinzioni, interpretazioni della realtà, i suoi simboli, la sua socialità. Il mondo di una persona è ricco e variegato, anche quando calato in ambito organizzativo, ove la dimensione culturale riveste grande importanza. Parliamo della cultura organizzativa, certo, ma anche della cultura personale in cui la persona è cresciuta e vive. Oggi si parla di inclusione. Negli ambienti più dinamici si parla anche di Business Anthropology, oltre che di psicologia.

Quando si sente parlare di “persona al centro” spesso ci si riferisce a qualcosa che mette a proprio agio l’individuo, quasi coccolandolo, per ottenere maggiore attenzione e quindi, sperano soprattutto le entità commerciali, farne un consumatore più generoso. Anche quando si parla di “persona al centro” rivolto al dipendente/collaboratore, volendo significarne la preziosità per l’organizzazione e per il business, spesso ci si riferisce all’engagement e alla motivazione e non al benessere percepito dell’ambiente di lavoro.

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Se vogliamo ottenere il meglio dalle persone dobbiamo accoglierle in quanto tali, comprenderne la diversità e le potenzialità, offrire loro un ambiente condiviso e comprensibile, valori e strumenti per farle sentire parte del tutto, ognuno per il suo contributo. Il senso di appartenenza ha qui i suoi blocchi di partenza. Se non vogliamo solo persone che vengano al lavoro per uno stipendio, scopo onorevolissimo ma che ormai abbiamo capito non essere una motivazione sufficiente per garantire un senso di realizzazione personale, possiamo offrire loro significati e rilevanze del lavoro, possiamo lasciare che ognuno assuma il proprio ruolo a modo suo, orientandolo alla nostra organizzazione, anch’essa fatto di valori, cultura, interpretazioni, rilevanze.

Le nuove definizione di HR, quindi, propongono una visione più olistica della persona, per la quale il suo mondo è sempre centrale e noi possiamo soltanto immaginarlo e dedurlo. Il valore di un ambiente di lavoro si propaga come un’onda inarrestabile nel benessere di ciascuno, verso quel senso di sostenibilità sociale che oggi rappresenta un altro grande tema. E l’onda attrarrà e manterrà i talenti. La centralità è del “tutto” piuttosto che del “singolo”.

Mi permetto un piccolo suggerimento. Strutturiamo e rendiamo esplicita la nostra autenticità e cultura come organizzazione, offriamo al collaboratore la possibilità di parteciparvi, concordiamo con lui i valori, la crescita e gli obiettivi, e ci troveremo a lavorare bene insieme. Almeno nei primi passi, non è necessario ricorrere a schemi preconfezionati, a modelli verificati, a meccanismi autocelebrativi, ad analisi troppo sofisticate. Suggerisco sempre di cominciare da qui, dalla semplicità aperta ed efficace di essere quello che siamo e condividere quello che vogliamo fare. Il successo del nostro impegno affonda radici profonde e solide proprio in questo.

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Paolo Speranza
Chief People & Innovation Officer
Psicologia, innovazione e tecnologia sono gli ingredienti del mio approccio al lavoro con le persone e le organizzazioni. Mi occupo di benessere lavorativo, crescita personale e organizzativa. Ho ricoperto ruoli spesso lontani fra loro, che mi hanno permesso di vedere le cose da punti di vista eterogenei. Esperienze che custodisco come un bene prezioso. Sono anche formatore e narratore.

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