Colloquio di lavoro: intuizione o metodo?

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Colloquio di lavoro: intuizione o metodo? 

Hai affrontato un colloquio e avresti voluto sapere qualcosa di più? Oppure ti trovi dall’altra parte del tavolo e sei curioso di sapere cosa suggerisce la ricerca in ambito psicologico?

di Leonardo Paniccià

Mi auguro che questo articolo, denso di riferimenti alla letteratura di settore, aiuti a fare chiarezza su di un tema spinoso quali le interviste di selezione. 

Avendo lavorato nel mondo degli assessment ho compreso che non è facile valutare le competenze.  Per farlo è preferibile consultare la letteratura di settore, trovare teorie di riferimento e se possibile coinvolgere esperti conoscitori del ruolo da valutare. 

Nel caso degli assessment center contribuiscono ad una valutazione piuttosto accurata la presenza in contemporanea di più osservatori, il numero di prove (tra cui simulazioni lavorative) che permettono ai valutatori di concentrarsi su poche competenze alla volta e criteri di valutazione prestabiliti. L’insieme di questi fattori permette di raccogliere informazioni ed avere una valutazione piuttosto precisa e obiettiva di un candidato, utile a prendere decisioni future.

Ma cosa avviene in un colloquio di lavoro?[1]

Il colloquio di lavoro è un processo interattivo di una o più persone che pongono domande oralmente a un’altra persona e valutano le risposte allo scopo di determinare le qualifiche di quella persona al fine di prendere decisioni di impiego[2].

Esistono due tipologie di modalità di svolgere i colloqui: le interviste strutturate e le interviste non strutturate[3].

Nelle interviste non strutturate l’intervistatore è libero di chiedere qualsiasi cosa al candidato, la sequenza delle domande non è prestabilita, gli argomenti dipendono dall’interazione tra candidato e intervistatore (possono esserci ulteriori domande di approfondimento), il formato è simile ad una conversazione e non c’è una standardizzazione dei punteggi delle risposte. 

Vi è capitato di dover rispondere ad una di queste domande ad un colloquio?

  • Perché dovremmo assumere te?
  • Dove ti vedi tra 5 anni?
  • Qual è un tuo punto di forza? Qual è una tua debolezza? 
  • Come ti descriveresti?
  • Qual è la materia che ti è piaciuta di più all’università? Quale di meno? 
  • Perché sei interessato a questo lavoro?
  • Che cosa sai della nostra azienda?
  • Perché hai lasciato il precedente lavoro?
  • Che tipo di animale vorresti essere? (Per fortuna questo genere di domanda è ormai fuori moda… spero…)

Queste domande in genere presenti nelle interviste non strutturate, non sono legate ad un particolare lavoro e la loro risposta corretta non può essere determinata empiricamente. Le interviste non strutturate si basano molto sulle intuizioni e l’arbitrarietà del selezionatore nella raccolta delle informazioni[4].

Chi adotta questo genere di interviste presta poca considerazione alla naturale predisposizione dell’essere umano ad incorrere in bias, stereotipi e pregiudizi e dei rischi connessi sulla valutazione. 

Il cervello umano raccoglie informazioni in maniera selettiva ed è costantemente alla ricerca di scorciatoie durante l’elaborazione di informazioni[5].

La psicologia sociale ci suggerisce che le persone formano opinioni sugli altri molto velocemente. Impieghiamo pochissimo tempo (pochi decimi di secondo) per farci un’impressione sugli altri[6]; ciò può portare gli intervistatori a formare un’impressione del candidato anche nella fase in cui avviene la conoscenza e la costruzione del rapporto e non sono state ancora scambiate informazioni relative al lavoro[7]. Questa prima impressione influenza l’esito della valutazione[8]. 

Di seguito alcuni dei bias in cui può incorrere un intervistatore (anche esperto) durante i colloqui:

Effetto primacy: la tendenza a far prevalere le prime impressioni. Alcune ricerche confermano questa ipotesi rilevando una correlazione significativa tra il punteggio assegnato nei primi minuti dell’intervista e la valutazione finale[9]. Secondo il bias di conferma le informazioni a supporto della proprie impressioni iniziali vengono accettate più facilmente rispetto alle informazioni che le contraddicono[10]. 

Effetto contrasto: valutare un candidato in relazione ad altri candidati invece che sulla base di uno standard comune. Un esempio è il caso in cui un pessimo candidato precede nel colloquio un candidato nella media. La valutazione di quest’ultimo potrebbe essere più alta di quanto sarebbe se prima di lui non si presentassero altri candidati o ci fosse un ottimo candidato.

Effetto alone: la tendenza ad estendere la valutazione positiva di una caratteristica ad altre caratteristiche. I candidati fisicamente attraenti ed i candidati che si vestono in maniera professionale ricevono, generalmente, un punteggio più alto nelle valutazioni[11]. 

Effetto ombra: la tendenza ad estendere la valutazione negativa di una caratteristica ad altre caratteristiche. L’aspetto fisico incide anche in negativo. Gli individui in sovrappeso, in genere, ricevono valutazioni più basse, hanno meno probabilità di essere assunti e persino salari più bassi [12]. 

Stereotipi: giudicare un candidato sulla base della personale percezione del gruppo a cui appartiene. Uno stereotipo diffuso è che le donne non siano altrettanto brave in matematica. Uno studio ha mostrato che un ipotetico candidato maschio ha più probabilità di essere assunto rispetto ad un candidato femmina per eseguire un compito matematico, anche dopo che il datore di lavoro ha appreso che i candidati si comporterebbero ugualmente bene nel risolvere problemi di matematica[13].

Effetto simile a me: premiare il candidato per la somiglianza in termini di personalità, attitudine, cultura, etnia o genere con sé stessi[14].

Blind spot bias: la falsa credenza che i bias influenzano gli altri ma non noi[15].

Una metanalisi che prende in considerazione una serie di fattori quali l’aspetto del candidato, l’impression management ed il comportamento verbale e non verbale sull’esito dell’intervista rivela che i comportamenti osservati durante l’intervista potrebbero non essere correlati con i comportamenti che si otterrebbero sul posto lavoro. L’intervista non strutturata è particolarmente influenzata dalle tattiche di presentazione del candidato[16]. Mentre l’effetto dell’impression management sulla valutazione è minore nell’intervista strutturata[17].

Altre ricerche indicano che l’intuizione e il giudizio clinico non sono accurati né a prevedere performance di successo né a smascherare se una persona sta mentendo[18].

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Attualmente non esistono ricerche a supporto dell’idea che ci siano persone più brave di altre nel prevedere comportamenti futuri o che sia possibile migliorare l’abilità predittiva attraverso l’esperienza[19]. Il mito di poter acquisire con l’esperienza una “competenza intuitiva” si traduce in un eccessivo affidamento sull’intuizione e sulle proprie abilità, e ad una riluttanza a minare la propria credibilità utilizzando metodologie più rigororose nei processi di selezione[20]. 

Preparando in anticipo le domande, i criteri con cui valutarle e limitandosi a registrare ciò che si ascolta e si osserva è possibile raccogliere informazioni più obiettive, standardizzare le valutazioni ed ridurre l’effetto dei bias sull’esito della decisione finale[21]. Per questo ci viene in supporto l’intervista strutturata[22]. 

Un’intervista è strutturata quando segue tre criteri a cui possono esserne aggiunti altri due per essere strutturata maggiormente (punti 4 e 5)[23]: 

  1. Le domande sono legate al contenuto del lavoro. 
  2. Ai candidati vengono fatte le stesse domande e applicati gli stessi criteri di punteggio (ad eccezione delle domande di chiarimento del CV). 
  3. La sequenza degli argomenti e i criteri di punteggio sono prestabiliti. Esiste una griglia di punteggio standardizzata per valutare le singole risposte.
  4. Vengono coinvolti più valutatori.
  5. I valutatori sono formati per ridurre i fattori esterni che possono influenzare le valutazioni dei candidati.

Le domande che compongono un’intervista strutturata sono di sei tipologie: 

  • Domande di chiarimento: Permettono all’intervistatore di chiarire un’informazione sul curriculum, sulla lettera motivazionale o sulla candidatura. 
  • Domande squalificanti: Una domanda la cui risposta errata compromette l’intervista (per es. sei disposto a lavorare nei fine settimana? Nel caso si richiedano turni di lavoro il sabato e la domenica) 
  • Domande per verificare il grado di competenza; ad esempio domande poste in lingua inglese o domande su specifiche competenze tecniche.
  • Domande per verificare la compatibilità con l’organizzazione, domande declinate in ambito lavorativo per valutare quanto i valori e la personalità di un candidato siano compatibili con la cultura aziendale. (Ad esempio: “Descrivimi un’esperienza lavorativa in cui ti sei relazionato con persone provenienti da culture diverse”). 
  • Domande situazionali[24]: consistono nel presentare al candidato un’ipotetica situazione lavorativa e chiedere come agirebbe in quella determinata situazione. Le domande situazionali si basano sulla teoria del goal setting e sull’’assunto che le intenzioni possono predire un comportamento futuro[25]. (Ad esempio: “Immagina di lavorare gruppo e di essere in disaccordo con un collega, come agiresti?”).
  • Domande comportamentali basate su esperienze passate[26]: viene presentata al candidato una situazione lavorativa in cui con molta probabilità può essersi trovato in passato e gli viene chiesto di descrivere come l’ha affrontata. (Ad esempio: “Descrivimi una volta in cui ti sei trovato in conflitto con un collega. Come hai agito?”). 

Per candidati con un elevata esperienza le domande focalizzate sul passato hanno maggiore predittività sulla performance futura[27]. Sebbene ci siano ricerche che mostrano che le domande comportamentali hanno una validità maggiore rispetto alle domande situazionali, alcuni studi sembrano suggerire che le due tipologie di domande anche se attentamente progettate per valutare le stesse caratteristiche, tendono a misurare costrutti diversi[28]. Secondo queste ricerche, le domande situazionali misurerebbero principalmente la conoscenza del lavoro e l’abilità cognitiva mentre le domande comportamentali misurerebbero l’esperienza e forse alcuni aspetti della personalità[29]. 

Al di là di questa distinzione, le ricerche concordano sul fatto che entrambe le tipologie mostrano alto punteggio di validità. Per questo l’intervista strutturata dovrebbe essere costruita principalmente da domande situazionali e comportamentali.

Come valutare le domande in un’intervista strutturata? 

Ci sono principalmente tre metodi per valutare le domande: 

  1. Risposta corretta o sbagliata.
  2. Creare una lista delle possibili risposte ad ogni domanda ed assegnare (anche con il contributo di esperti in materia, letteratura di settore, ecc…) i comportamenti in una griglia di valutazione con una scala di punteggio legata al contenuto del lavoro (anchored rating scales)[30].
  3. A volte un candidato può fornire risposte che possono appartenere a più punteggi della scala. Per risolvere questo problema è possibile considerare una lista delle questioni chiave da prendere in considerazione nella valutazione delle risposte. Per ogni questione chiave presente nella risposta il candidato guadagna un punto. I punteggi possono essere soppesati in modo tale da attribuire maggiore peso a ciò che viene ritenuto più importante per la posizione. Quando assegniamo i punteggi, è opportuno avere un sistema per valutare i segnali non verbali, specialmente nel caso in cui un lavoro richieda competenze interpersonali [31].

Le interviste strutturate permettono di standardizzare le valutazioni e concentrarsi sui fattori critici per una performance di successo[32].

La ricerca è chiara[33]: le interviste fortemente strutturate sono più affidabili e più valide delle interviste meno strutturate[34].

Perché allora l’intervista strutturata viene utilizzata così poco? 

Le persone hanno una resistenza intrinseca agli approcci analitici alla selezione perché non riescono a vedere il processo di selezione come probabilistico e soggetto ad errore[35]. Inoltre, la percezione di recruiter e organizzazioni, contrariamente a ciò che indica la ricerca in ambito psicologico, è che l’intervista strutturata sia meno efficace rispetto a quella non strutturata[36].

L’intervista strutturata oltre ad essere metodologicamente più valida può migliorare le decisioni future ed essere perfezionata nel tempo: è facile da utilizzare, le tecniche sono conosciute e non richiede grandi costi d’implementazione.

Se volete selezionare i migliori talenti e ridurre le discriminazioni nel processo di selezione, lasciate da parte l’intuizione e affidatevi ad analisi e metodo.

Note e riferimenti biografici:

 

Questo articolo è offerto da:

Leonardo Paniccià
Human Resources Consultant | People & Culture | HR Data Analyst | Digital Transformation
Mi interesso di scienze sociali e sto cercando di fare della mia passione un lavoro. Non amo le semplificazioni e le risposte semplici a problemi complessi, affronto la vita con un prospettiva critica e cercando di coltivare il dubbio. Analisi, dati e ricerca scientifica sono le basi a supporto delle mie decisioni.

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