Empatia nel lavoro_ retorica o realtà evolutiva

 

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Empatia nel lavoro: retorica o realtà evolutiva?

di RisorseUmane-HR.it

Empatia nel lavoro e nella vita: un valore proclamato, ma quanto è realmente vissuto?
Tra slogan aziendali, programmi di wellbeing e retoriche sul capitale umano, rischiamo di svuotare la parola del suo significato più autentico.

Ma cosa intendiamo davvero per empatia? È una disposizione innata o una competenza allenabile? E soprattutto: può essere la chiave per ripensare le relazioni nei contesti organizzativi, oggi spesso frammentati, competitivi, solitari?

Questo articolo propone un’esplorazione a più voci e piani — dalla filosofia alla neurobiologia, dalle dinamiche sociali alla gestione dei team — per stimolare una riflessione più profonda e meno scontata su un tema tanto abusato quanto urgente.

Indice:

1. L’empatia tra idealizzazione e disincanto

Negli ultimi anni, l’empatia è diventata una buzzword. Si moltiplicano le conferenze, i manuali e i corsi che la propongono come panacea per la crisi delle relazioni. Ma a forza di proclamarla ovunque, l’empatia rischia di diventare un involucro vuoto, una posa.

Per contrastare questo rischio, alcune organizzazioni hanno sperimentato pratiche alternative: ad esempio, Google ha introdotto il concetto di “psychological safety” nei team, incoraggiando l’ascolto attivo e il riconoscimento reciproco come elementi chiave di performance. Analogamente, alcune PMI italiane stanno promuovendo la figura del “facilitatore relazionale”, un ruolo trasversale per migliorare l’interazione tra reparti.

In molte organizzazioni si parla di empatia senza affrontare le contraddizioni che essa comporta: selettività, incoerenza, strumentalizzazione. Non siamo empatici con tutti, e non sempre: l’empatia sembra accendersi a orologeria, attivandosi solo verso chi percepiamo come simile o degno. In questo senso, la retorica empatica può generare cinismo, più che connessione.

Eppure, la sua forza simbolica resiste: è il sintomo di un bisogno collettivo inascoltato, quello di essere visti e compresi. Allora l’interrogativo diventa: come restituire all’empatia la sua densità? Come riconnetterla alla realtà vissuta?

2. Empatia come struttura dell’esperienza

Edith Stein, filosofa e fenomenologa, offre una chiave decisiva: l’empatia non è una virtù da esercitare, ma un evento che ci accade. È l’irruzione dell’altro nella nostra esperienza, ciò che ci costringe a ridefinire noi stessi. Non è un sentimento da aggiungere al nostro repertorio emotivo, ma una trasformazione percettiva.

Per esempio, immagina un team leader che osserva il disagio di un collaboratore non solo ascoltandolo, ma percependone l’impatto emotivo e rivedendo di conseguenza il carico di lavoro. Oppure pensa a un docente che, cogliendo la frustrazione inespresso di uno studente, adatta il proprio stile didattico per favorire una partecipazione più attiva. Questi esempi mostrano come l’empatia si traduca in modifiche concrete nella relazione, rendendola più autentica.

Secondo Stein, “rendersi conto” della sofferenza altrui è un atto che spezza la linearità dell’esperienza. Non possiamo più ignorare ciò che ci si para davanti: siamo messi in causa. L’essere non è un’autarchia, ma una struttura relazionale. In questo senso, l’empatia ci fa umani.

Questo approccio fenomenologico è radicale perché integra il piano biologico con quello etico e relazionale: tutto arriva insieme. L’altro non è una categoria, ma un volto, una presenza viva.

3. Le basi neurobiologiche: i neuroni specchio e oltre

Le neuroscienze, in particolare attraverso la scoperta dei neuroni specchio, hanno mostrato che comprendiamo gli altri non solo “pensandoli” ma “rispecchiandoli”. Quando vediamo qualcuno provare dolore, si attivano nel nostro cervello le stesse aree che si attiverebbero se fossimo noi a provarlo.

Questo dato conferma che l’empatia ha una base incarnata. Ma attenzione: non si tratta solo di emotività. L’empatia non è la semplice condivisione del dolore, ma la comprensione dell’altro come altro. Le neuroscienze ci aiutano a vedere che la mente non è un’entità separata dal corpo, e che le relazioni hanno una radice percettiva, motoria, situata.

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4. L’empatia in azienda: retoriche, pratiche, limiti

Nel contesto contemporaneo, l’empatia nel lavoro viene spesso evocata come competenza chiave per una leadership efficace e per il benessere organizzativo. Tuttavia, il rischio è che questa attenzione rimanga confinata al piano retorico, senza una reale traduzione in pratiche quotidiane.

Perché l’empatia possa diventare davvero un fattore abilitante nei team, è necessario che esistano condizioni organizzative favorevoli: spazi di ascolto autentico, tempo per il confronto, cultura della fiducia e della reciprocità. Non si tratta di “essere gentili”, ma di costruire contesti che permettano la comprensione e la valorizzazione delle diversità.

È importante riconoscere che l’empatia, da sola, non è risolutiva: in assenza di strumenti di gestione e chiarezza nei ruoli, può persino generare tensioni o frustrazione. Serve un’infrastruttura relazionale che sostenga il dialogo e la responsabilità condivisa.

5. Educare all’empatia o educare con empatia?

La scuola, la famiglia, i media: tutti contribuiscono a modellare la nostra capacità empatica. Ma forse è tempo di invertire la domanda. Non si tratta solo di insegnare l’empatia, ma di esercitarla nei modi con cui educhiamo.

Fin dalla scuola primaria, l’educazione è spesso competitiva, prestazionale, orientata al risultato. In questo contesto, lo spazio per l’ascolto, il confronto, la vulnerabilità è ridotto. Eppure, è proprio lì che si forma (o si inibisce) l’empatia.

Alcune scuole stanno sperimentando percorsi di apprendimento cooperativo, in cui la valutazione si basa anche sulla capacità di collaborare e di supportare i compagni. In altri contesti educativi, si introducono momenti di circle time per promuovere il dialogo aperto. Queste esperienze dimostrano che un’educazione centrata sulla relazione può generare effetti positivi duraturi.

L’empatia non è una tecnica: è una postura. E se la nostra società sembra oggi più solitaria e frammentata, è forse perché abbiamo smesso di considerare le relazioni come fondamento, non come effetto collaterale.

6. Oltre l’umano: empatia per la natura, per l’ambiente, per il cosmo

Infine, l’empatia non si ferma all’umano. Sempre più persone ritrovano una sensibilità empatica nel rapporto con la natura, con gli animali, con il paesaggio. È un’empatia espansa, che riconosce interconnessioni più ampie e profonde.

Camminate consapevoli, orti condivisi, silenzio, contemplazione: sono pratiche che allenano una forma diversa di presenza. In un mondo che corre, fermarsi ad ascoltare diventa un atto radicale.

7. L’empatia come processo, non come stato

L’empatia nel lavoro non è un traguardo, ma un processo continuo di apertura e rinegoziazione del proprio punto di vista. È una tensione, non un’etichetta. Ed è proprio questa tensione che può riportare significato nei luoghi di lavoro, nelle istituzioni e nelle relazioni quotidiane.

Per trasformare questa tensione in azione concreta, possiamo iniziare da tre strategie chiave:

  1. favorire momenti strutturati di dialogo e confronto all’interno dei team, anche attraverso strumenti come il debriefing relazionale o il feedback a 360°;
  2. promuovere la formazione emotiva e relazionale per i manager e i team leader, affinché possano sviluppare un ascolto empatico e una leadership inclusiva;
  3. ridefinire i criteri di valutazione delle performance, includendo la qualità delle interazioni e la capacità di generare fiducia.

Nel quotidiano, piccoli gesti possono fare la differenza: chiedere con reale interesse come sta un collega, ascoltare senza interrompere, sospendere il giudizio prima di rispondere. Sono azioni semplici, ma radicali nella loro capacità di cambiare il clima di un’interazione.

L’empatia non si insegna una volta per tutte, ma si coltiva. Non è un’abilità da aggiungere, ma un modo di essere da riscoprire insieme. È un progetto umano, prima che professionale. Ed è proprio nell’empatia nel lavoro che possiamo trovare uno dei terreni più fertili per rigenerare la cultura organizzativa.

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Empatia nel lavoro: retorica o realtà evolutiva?

Sintesi dell’articolo

L’articolo esplora il tema dell’empatia nel contesto lavorativo e sociale, analizzandolo da prospettive filosofiche, neuroscientifiche, educative e organizzative. Si parte dalla constatazione che l’empatia è spesso ridotta a una retorica di superficie, ma si propone un approccio più profondo che la consideri come un’esperienza relazionale trasformativa. Edith Stein offre una lettura fenomenologica dell’empatia, mentre le neuroscienze confermano la sua base incarnata attraverso i neuroni specchio. L’articolo discute poi le condizioni necessarie affinché l’empatia possa diventare un fattore abilitante nelle organizzazioni e nell’educazione, superando approcci performativi. Conclude con proposte pratiche per coltivare l’empatia come processo continuo e come leva per rigenerare le relazioni umane e professionali.

Quiz a Risposta Breve

Dopo aver letto l’articolo, prova a rispondere a queste domande:

  1. Che rischio si corre quando si parla troppo di empatia in azienda senza una reale applicazione? Che l’empatia diventi solo una retorica, svuotata di significato e inefficace.
  2. Secondo Edith Stein, cosa rappresenta l’empatia? Un evento trasformativo che ci accade, che rompe la linearità della nostra esperienza e ci mette in relazione con l’altro.
  3. Cosa rivelano i neuroni specchio sul funzionamento dell’empatia? Che l’empatia ha una base neurobiologica e incarnata.
  4. Quali condizioni organizzative favoriscono l’empatia nei team di lavoro? Spazi di ascolto autentico, tempo per il confronto, fiducia e cultura della reciprocità.
  5. Qual è una strategia educativa efficace per sviluppare empatia tra gli studenti? L’uso di circle time e l’apprendimento cooperativo.
  6. Qual è una delle tre strategie operative proposte per rendere concreta l’empatia nel lavoro? Ridefinire i criteri di valutazione includendo la qualità delle interazioni.

Glossario dei termini chiave

  • Empatia: Capacità di percepire e comprendere lo stato emotivo di un’altra persona, mantenendo la distinzione tra sé e l’altro.
  • Retorica empatica: Uso frequente e superficiale del concetto di empatia in contesti aziendali o pubblici.
  • Fenomenologia: Corrente filosofica che studia l’esperienza soggettiva e intenzionale.
  • Edith Stein: Filosofa tedesca che ha studiato l’empatia come evento relazionale originario.
  • Neuroni specchio: Neuroni che si attivano sia osservando sia eseguendo un’azione, associati all’empatia incarnata.
  • Psychological safety: Condizione in cui le persone si sentono sicure di esprimersi senza timore.
  • Facilitatore relazionale: Figura che favorisce la comunicazione e la cooperazione nei gruppi.
  • Circle time: Metodo educativo basato sul dialogo e l’ascolto attivo tra pari.
  • Leadership inclusiva: Stile di leadership che valorizza la diversità e l’ascolto.
  • Valutazione relazionale: Metodo di valutazione basato sulla qualità delle relazioni interpersonali.

 

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Edith Stein, Il problema dell’empatia, Edizioni Studium, 2012.
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Antonio Quaglietta Empatia e teoria della conoscenza in Edith Stein, IF Press, 2018
In questa opera si percorre il filo conduttore che ha unito tutti i momenti salienti della vita di Edith Stein: l’empatia, che per lei è stata inizialmente un moto spontaneo di pietas umana e successivamente uno strumento di indagine sulla realtà. Il libro approfondisce il concetto di empatia e il suo ruolo nella teoria della conoscenza secondo il pensiero di Edith Stein.

Marshall B. Rosenberg, Comunicare con empatia, Esserci, 2011.
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Jean-Philippe Faure e Céline Girardet, Empatia. Al cuore della comunicazione non violenta, Terra Nuova Edizioni, 2017.
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Laura Boella, Empatie. L’esperienza empatica nella società del conflitto, Raffaello Cortina Editore, 2018.
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