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Etica del lavoro, crisi ed efficienza delle HR
L’etica ha impegnato, da sempre, le menti di filosofi e uomini colti. È materia sottile e sofisticata, pregnante per la nostra quotidianità. Tanto importante da condizionare in ogni istante il nostro operato.
Ognuno di noi ha una propria scala valoriale, più o meno chiara ed esplicita, un insieme di concetti che reputa importanti e determinanti per la propria esistenza. Costantemente, talvolta minuto dopo minuto, questi valori sono messi alla prova, ponendoci davanti a scelte capaci di farci provare emozioni difficili da gestire e da cui discendono comportamenti che non sempre vorremmo necessariamente tenere. Emozioni che non evocano un’idea di realizzazione personale.
Recenti ed autorevoli ricerche dimostrano che il 70% dei lavoratori europei è insoddisfatto della propria attività e si sente demotivato. Quale dramma sociale.
Le attività svolte in un simile clima interiore e con un approccio distonico rispetto ai propri valori (che si riflettono in aspettative) non hanno carattere di specialità, non posseggono quel quid che le rende uniche, in quanto espressione piena del nostro modo di essere.
Da ricerche svolte nei medesimi ambiti emerge che il denaro non ha un’influenza primaria sulla motivazione e sul senso di soddisfazione derivante dallo svolgimento della propria attività lavorativa.
Perché mai “tirar via” il lavoro?
Non possiamo escludere che anche in condizioni di forte demotivazione si possa svolgere la propria attività in modo etico, ottemperando a tutti gli obblighi e a tutte le condizioni di comportamento richieste dalla natura dell’attività svolta.
Di certo però questa sorta di “etica minima”, richiesta in ottemperanza al rispetto dei propri obblighi contrattuali, è ben poca cosa (sebbene sia oramai merce rara) se rapportata all’etica che risponde al nostro sistema valoriale. Quest’ultima ha la potenza generatrice di risultati eccelsi e, soprattutto, coerenti con le nostre aspettative più profonde nel momento in cui svolgiamo un’attività sulla via della piena realizzazione.
Allo stesso modo, possiamo affermare che in assenza di una buona cultura di base e di un senso del dovere, quando fa capolino la demotivazione, la prestazione è affetta da disinteresse per la qualità (anche minima) e per il risultato in genere. Si tende a svolgere “il compitino” e a “tirar via il lavoro”. Qui l’etica dovrebbe entrare in crisi e, a seconda dell’intensità dei valori, si può essere indotti ad accettare o meno il compromesso con sé stessi. Quando riscontriamo scarsa etica del lavoro, ad ogni livello, può venir spontaneo chiedersi se non vi sia una soluzione rapida e pragmatica.
Lavorare sull’etica del singolo individuo è però difficile, complicato e richiedere tempi lunghi, apertura mentale, disponibilità d’animo.
Perché rinunciare ad una relazione win-win?
A tutti sarà capitato di imbattersi in dipendenti da “sciopero bianco” capaci di sollevare eccezioni ed abilmente accampare scuse pur di limitare l’attività al minimo indispensabile. Ma quale imprenditore riesce a quantificare il danno alla sua azienda e quale dipendente riflette sul danno provocato alla sua vita con tale atteggiamento?
Esiste una reciproca miopia: quella della risorsa e quella di chi lo destina a quella mansione. Quel dipendente è prima di tutto un individuo in evidente conflitto con sé stesso, che ha rinunciato al suo sistema valoriale. Svolge il “compitino” senza infamia e senza lode. Ne consegue, anche, l’ulteriore silente conflitto che giornalmente pone in atto nei confronti del suo datore di lavoro non producendo, di certo, al massimo delle sue possibilità.
E’ chiaro il duplice livello cui può attestarsi l’etica del lavoro: in basso l’etica minima, più in alto l’etica valoriale.
Con la prima si assicura un risultato che, pur se irreprensibile, non genera reale valore per la risorsa e limita quello prodotto per chi lo commissiona. Con la seconda si svolge un’attività (per tipologia e modalità) coerente con i propri valori più profondi e immutabili, producendo efficienza e valore rapportato a risorse e aspettative disponibili.
Tutti i soggetti coinvolti, contribuendo a creare una relazione win-win, ne escono avvantaggiati.
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Dalla Sequenza del valore un bilancio più ricco
A questo punto è facile riflettere non solo sulle conseguenze che su scala macro può produrre l’uno o l’altro approccio (laddove assurga a diffusa cultura del lavoro in un “sistema paese”) ma anche porsi una domanda che diriga verso una possibile soluzione del problema: “Se la carenza di etica produce sempre un risultato mediocre e, quindi, inefficiente, è possibile capovolgere il problema?”.
Rispetto alle aspettative, alle attitudini e alle capacità, la miglior performance possibile è sempre espressione di efficienza. Questa, pertanto, diviene la chiave di volta. Porta con sé, consciamente o inconsciamente, quell’etica lontana dal “minimo sindacale” generata dalla demotivazione. Fare il massimo in rapporto alle nostre capacità del momento, equivale ad essere efficienti e tale atteggiamento è altresì rispondente ad un’etica ben superiore a quella minima.
Riguardo lo svolgimento di un’attività è allora chiara la sequenza logica definibile anche come sequenza del valore:
Sistema valori personali → Attitudini e Know how → Attività coerente → Efficienza → Produzione di reale valore → Etica valoriale → Senso di realizzazione.
Se quindi non possiamo accedere o far leva sull’etica quale passepartout per ottenere il massimo del valore producibile, sintonizzando valori, risorse e attività avviamo un circolo virtuoso in grado di rendere efficiente la risorsa ed ogni organizzazione umana.
Anche l’imprenditore più miope che per approccio e cultura sia interessato solo a fatturato e profitto raggiungerebbe più facilmente il suo obiettivo facendo della sequenza del valore un pilastro della gestione.
Cogliamo l’opportunità?
L’atomizzazione del tessuto imprenditoriale italiano non ha di certo costituito l’humus ideale perché queste tematiche trovassero degna considerazione nel quotidiano delle aziende.
Nell’attuale momento storico l’efficienza dei fattori produttivi, nessuno escluso, assurge a priorità inderogabile per garantire la continuità aziendale.
Se è vero che i grandi shock epocali generano cambiamenti, possiamo ritenere che ogni consulente HR può ora cogliere l’opportunità di attivare quell’osmosi necessaria a far comprendere la stretta relazione che corre fra comunicazione interna e valore tangibile prodotto dall’organizzazione.
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