Benessere aziendale: tempo e impronta caratteriale
Negli ultimi tempi, ho partecipato a convegni e meeting sul tema del Welfare aziendale. Il tema oggi è particolarmente sentito, segnatamente per gli eventi drammatici che ci hanno coinvolto in questi anni. C’è un dato significativo che evidenza che qualcosa nel mondo aziendale non va, e che siamo dinnanzi ad un cambiamento epocale: l’alto numero di dimissioni. Le persone non stanno bene!
Stiamo procedendo verso un cambiamento obbligato, perché il tempo dell’accentramento patriarcale in pieno stile taylorista, è ormai al capolinea. Durante questi eventi, emergono sempre degli spunti interessanti, grazie soprattutto alla presenza di esperti, che con la loro esperienza, sono in grado di analizzare piuttosto bene lo stato dell’arte. Le soluzioni mostrate e raccontante, appaiano lì per lì vincenti ed efficaci, ed in tanti casi questo corrisponde al vero; eppure qualcosa sembra non tornare. L’essere umano è un organismo costituito da due componenti: materiale e mentale. Con mentale intendo anche tutta quella parte caratteriale che di fatto si evolve in comportamenti più o meno definiti. Oggi noi non possiamo tralasciare questa componente, perché di fatto è ciò che crea diversità. Il benessere aziendale per cui deve passare per un intervento mirato sul singolo soggetto, lavorando sul capitale umano. Con il termine lavorare intendo avvicinare le persone a comprendere sé stessi e conseguentemente accettarsi, con i loro pregi ed i loro difetti. Condanno alcuni professionisti quando credono e professano, di poter intervenire sul temperamento umano, convinti di poter apportare modifiche, come se si dovesse cambiare colore di capelli. Non funziona così. Il timido resta timido, lo spavaldo pure, così come tutte le favole raccontate sull’argomento dell’autostima. Non vorrei uscire dal seminato per cui, su questo tema, riprometto di ritornarci in un articolo dedicato.
Chiaro che per quanto concerne il tema benessere, le motivazioni e l’indelebile impronta caratteriale, diventano centrali, e le aziende devono iniziare seriamente, a prendersi cura dei propri dipendenti e/o collaboratori. Per fare questo esiste tra l’altro uno strumento altamente performante, di cui personalmente mi avvalgo. Esso, incomprensibile ai più, per diffidenza e credenze distorte, permette di descrivere per filo e per segno, tutti gli aspetti caratteriali e comportamentali, nonché qualità e difetti, agevolando il raggiungimento del benessere individuale in un tempo piuttosto rapido. Questo comporterebbe meno “affaticamento” per l’azienda in termini di tempo e denaro, e soprattutto risulterebbe meno invadente di talune attività che, non avendo a seguito strumenti giudicanti preventivamente, costringono ad operare sulla profilazione del soggetto, in maniera meno discreta e forse per qualcuno anche irruenta.
Al di là degli aspetti tecnici su come intervenire, appare focale, riuscire a conciliare lavoro e vita privata, senza arrivare a livelli di stress inaccettabili. Ahimè molti fatti di cronaca nera, purtroppo, possono confermarci, cosa può accadere quando la nostra mente arriva al “collasso psicologico”. Parlare di equilibrio e di benessere senza chiamare in causa il “TEMPO” a mio avviso fa crollare tutto il palco. Perché il Tempo?
Per la maggior parte delle persone la giornata lavorativa dura mediamente tra le 11/12 ore, tra lavoro effettivo, spostamenti casa-lavoro, preparazione per andare al lavoro, pausa pranzo e straordinari vari. La logica ci viene in soccorso: capite bene che se su 24 ore giornaliere, metà le utilizzo per il mondo professionale, diventa assai difficile raccordare vita privata e lavoro. Il riposo è essenziale, e le 8 ore vanno considerate, ne restano 4 dove donne e uomini, devono diventare machiavellici, per impostare un piano strategico e calcolato al minimo dettaglio per infilare praticamente “una vita”, senza dimenticare le condizioni psichico-fisiche, con le quali si arriva a fine giornata lavorativa. Anche su questo aspetto sembra aleggi un certo disinteresse. Imparare a rapportarci col tempo in modo intelligente, è la prima vera direzione da seguire, altrimenti il benessere aziendale, resta un’utopia e gli incentivi ed impegni oggi assunti, rischiano di cadere nel nulla.
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È un monito per le aziende ad impegnarsi a riconsiderare i profili orari. Sarebbe logico che fosse il Governo, attraverso politiche ministeriali del Lavoro ad occuparsene, ma l’Italia funziona al contrario, per cui il cambiamento deve partire dal popolo. Per cambiare le linee guida, servono imprenditori coraggiosi che adottino nuovi modelli, perché al cospetto della teoretica, l’empirismo funziona ancora. Qualche stella brilla già in questo senso, è di poche settimane fa infatti, la notizia di un’azienda veneta che ha deciso di non “imbrigliare” i dipendenti nei classici orari “fantozziani”, ma stabilendo a tavolino con i lavoratori, spazio di manovra per portare a termine le consegne richieste. Questo scenario permette di dare delle risposte qualitative differenti oltre che rafforzare il concetto di benessere. Ora, è altrettanto evidente che alcune professioni si prestano a certe dinamiche rispetto ad altre, ma laddove non si possa procedere con una libertà totale, esistono espressioni diverse. In altre aree del mondo, esperimenti sociali, hanno dimostrano quanto una settimana lavorativa di quattro giorni, possa essere performante.
È altrettanto palese, che il cambio di rotta non possa avvenire dall’oggi al domani, poiché oltre all’impegno imprenditoriale, vi sono altre variabili che incidono sulla direzione della “sostenibilità professionale” e di tenuta socio-esistenziale:
- Attuare una riforma scolastica pesante. La scuola pubblica è imbarazzante, è necessario intervenire su tutta la linea: materie di studio, durata, insegnamento ed insegnanti. Oggi non esiste un raccordo tra scuola e lavoro, questo lacerante distacco non aiuta il futuro benessere aziendale. Inutile sfornare laureati per trasformarli nei disoccupati 2.0. Serve, lungimiranza, coesione e comunicazione tra le parti.
- i trasporti pubblici, vi sono delle città rimaste al medioevo;
- le infrastrutture informatiche, punto dolente in molte parti d’Italia;
- il saper rinunciare. La rinuncia è da intendersi come nuova visione e modalità di vita.
Il cambiamento professionale, è strettamente legato alle condizioni del pianeta Terra. 9 miliardi di persone da sfamare in tutto il mondo, sollevano a lungo andare un problema legato alle risorse, che non può durare in eterno. Per cui sarà doveroso iniziare a mirare la produzione sull’essenzialità. Abbiamo imparato sulla nostra pelle con il COVID che, per quanto gli eccessi siano comodamente eccitanti, non rappresentano uno strumento di sopravvivenza, per cui dovremo apprendere e fare nostro il concetto di moderazione. Non si commetta l’errore di credere che moderare significhi tornare alla vita dei nostri avi, anzi, è vero il contrario. È necessario proseguire e avanzare verso forme tecnologicamente avanzate che permettano all’uomo di vivere bene, riducendo sprechi fisici, mentali e ambientali.
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