smart working settimana corta

ADV

 

Dallo smart working alla settimana corta: un posto al sole per la flessibilità

di Antonio Signorello

“La settimana lavorativa corta è la nuova frontiera del lavoro”. Frasi cosi riempivano le maggiori testate giornalistiche d’uso quotidiano, peccato che riguardava aziende d’oltralpe.

Una cosa è certa: la flessibilità non si è fermata, anzi ha fatto acuire l’interesse verso il worklife balance delle persone, creando una faglia ancora più spessa tra quei imprenditori che continuano ad arroccarsi del loro potere per far si che finisca per sempre il lavoro agile e quelle persone che hanno capito che oltre al lavoro esiste una sfera personale da coltivare quotidianamente.

La parola “flessibilità” viene riportata anche negli annunci di lavoro dove in alcuni casi non è intesa nella sua vera essenza ma legata al concetto di orari e permanenza maggiore in ufficio.

Concedere flessibilità al dipendente ha dei vantaggi, tra cui ad esempio:

  • maggiore produttività;
  • maggiore felicità;
  • maggior focus verso gli obiettivi;
  • minor assenteismo dal lavoro.

Cosa ostacola la flessibilità in alcune aziende?

Il mindset ancorato ad un cultura manageriale-imprenditoriale disallineata dai valori oggi presenti nella società. Per questo si fa fatica ad accettare sia lo smart working che la settimana lavorativa corta.

Pertanto, quello che manca oggi nel mondo del lavoro è una cura verso il benessere psicologico del dipendente che se prima era “acquistabile” tramite l’aumento di retribuzione, oggi non è più cosi, anzi in alcuni casi tra un offerta economica al rialzo ma orientato ad un basso worklife balance ed una a minor compenso ma maggior smart working, si preferisce di gran lunga il secondo perché il dipendente è maggiormente motivato a produrre.

ADV

Il vantaggio di aver dipendenti flessibili

Il concetto di flessibilità ha da sempre coinvolto il mondo del lavoro, inserendosi di recente nel panorama delle soft skills richieste per una determinazione mansione da svolgere.

Giuridicamente parlando, in Italia inizia ad entrare di scena nel 1977 nell’ambito del lavoro interinale, intendendo due persone coinvolte: il soggetto in cerca di impiego e l’azienda che richiedeva manodopera.

La flessibilità detiene anche una concezione negativa intendendo con ciò la precarietà cui molti giovani ancora oggi sono esposti, andando a discapito della stabilità contrattuale.

Ai giorni nostri l’etimologia è cambiata, siamo passati da una flessibilità in mano solo al datore di lavoro ad un asse in cui il dipendente, secondo le politiche di smart working, può decidere dove lavorare e gestire il suo worklife balance.

La flessibilità ha un suo “posto al sole”? Certo che si con vantaggi da ambo le parti.

Vantaggi per il dipendente:

  • Aumentare la qualità della propria vita;
  • Ridurre costi per eventuali spostamenti casa ufficio;
  • Dipendente felice

Vantaggi per il datore di lavoro:

  • Minore assenteismo nella propria azienda;
  • Employer branding, quindi attrarre i talenti;
  • Benessere psicologico a 360 gradi

Prima di essere flessibili occorre costruire un rapporto di fiducia con il singolo dipendente per far si che si sviluppi l’autonomia lavorativa. D’altronde per essere smart worker occorre adottare il mindset in cui si è dipendenti di se stessi. Questo avviene organizzando il proprio lavoro e centrando gli obiettivi secondo le tempistiche dettate.

Il mondo del lavoro oggi racchiude datori di lavoro orientati alla flessibilità? Difficilmente, data la concezione diversa di intendere l’etimologia della parola stessa, motivo per cui il cambio di mindset è necessario anche per la crescita di coltivare il proprio work life balance.

Cosa manca oggi nel mondo del lavoro?

Il mondo del lavoro odierno viene definito V.U.C.A, ossia: volatile, complesso, intriso di veloci mutamenti, caratterizzato da grande incertezza.

Automazione industriale, machine learning, intelligenza artificiale rappresentano i principali profondi mutamenti che interessano sia le persone che le organizzazioni.

I protagonisti che si “scontrano” su questi temi sono due: generazioni Z e Baby Boomers, i figli del boom economico, i quali i primi sono orientati ad una maggiore flessibilità mentre i secondi ancorati ad una cultura del lavoro che esclude il worklife balance.

Cosa manca oggi nel mercato del lavoro?

  • Attenzione al dipendente, d’altronde una risorsa motivata produce in maniera efficace, garantendo una politica di worklife balance esso si sente parte dell’azienda in cui è inserito;
  • Formazione, di fronte ad una penuria continua di personale, il trasmettere conoscenza resta la soluzione principale, di fronte a questo il sistema scolastico deve divulgare e promuovere nuovi contenuti formativi;
  • Ascolto, il dipendente ha dei bisogni cosi come anche il datore di lavoro, per questo il confronto bilaterale è fondamentale.

La flessibilità ha un suo posto al sole? Ad oggi solo giuridicamente parlando, ma non basta, perché il mondo del lavoro fuori il nostro paese già sta mutando, non a caso si parla anche di settimana lavorativa corta.

***

Bibliografia consigliata:

Questo articolo è offerto da:

Antonio Signorello
Sono un Digital HR e Psicologo del lavoro iscritto all'Ordine della Regione Sicilia, sostenitore del Digital & dello Smart working. Ad oggi mi occupo di Selezione e Gestione profili ICT. Amo viaggiare fin tanto da creare il Blog "Travelling Sicily". Mi definisco una persona proattiva, empatica e amante delle collaborazioni professionali. Appassionato del mondo delle risorse umane, mi interfaccio continuamente con esperti startupper in tema di new business.

altri articoli di questo autore

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *