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Selezione del personale e reputazione individuale

il report Adecco e la maledizione Facebook

di Giovanni Sangiorgi

Quando una non notizia diventa un falso scoop con una base di verità trascurata

Nell’ultima settimana sono cominciate ad uscire delle reazioni incontrollate al “Work trends study” di Adecco, giunto alla quinta edizione. Mentre da altre parti (per quello che vedo io USA, UK, Francia, Germania) si è posta l’attenzione giustamente alle grandi opportunità che i social network offrono per il lavoro di selezione, ponendo l’accento sulle grandi potenzialità di Likedin, nella nostra Italia si è scatenato un bailamme assurdo fomentato anche dalla stampa non specializzata (ma anche dal Sole 24Ore) sul fatto che “quando il colloquio va male per colpa di Facebook” secondo il titolo della testata di Confindustria (vedi articolo) che però è comunque il più sobrio rispetto ad altri.

Nell’universo social si sono moltiplicati i commenti da parte sia di autorevoli operatori che di candidati preoccupati. Alcuni si stracciano le vesti per la privacy violata, altri sostengono la liceità di una indagine approfondita, altri ancora minimizzano gli effetti e la portata del presunto problema. Io vorrei fare chiarezza.

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I dati del report

Il campione riguarda 31.793 candidati (il 73% di questi ha completato il questionario) e 4.168 fra aziende e società di selezione/reclutamento (e di queste solo il 44% ha completato l’indagine). I paesi più rappresentati sono stati la Francia (28%), il Giappone (11%), la  Thailandia (9%) e India (8%): quindi l’Italia ha sì un 10% del campione fra i candidati, ma ha una quota molto meno significativa fra le aziende e le società di selezione. Infatti né a me e neppure ad altri colleghi con cui ho contatti è stata fatta alcuna richiesta, e forse è per questo che il recruitment sociale secondo il report è usato solo dal 19% degli operatori in Europa Centrale.

Andando nel dettaglio, a pagina 17 del report si dice che Il 28% dei reclutatori dichiara di aver respinto almeno un candidato a causa di contenuti on-line a lui relativi. E qui mi chiedo: ha respinto un candidato su che numero di candidati in totale? Se ne vede 100 il dato reale è 1% e non “un terzo”.

Più interessante invece è il dato relativo alle motivazioni per cui un candidato viene “eliminato”:

  • la presenza di informazioni che contraddicono il CV (54% )
  • la valutazione di tratti di personalità (49%)
  • l’uso di immagini improprie o inadeguate (46%)

D’altra parte, la presenza opinioni di politiche espresse da parte dei candidati (11%) ha dimostrato di essere irrilevante per i reclutatori ed un contenuto discriminatorio è ritenuto marginalmente rilevante (27%). Già questo ci fa capire quanto siamo diversi in Italia….

Le buone abitudini

Per il candidato

In un articolo che avevo pubblicato commentando anche il report dello scorso anno (vedi articolo) mi ero soffermato su alcuni aspetti che erano in parte emersi dal rapporto Adecco ed in parte dall’esperienza personale indicando una rapida checklist delle cose da evitare, eccola:

  1. Commenti alla partecipazione ad attività che violano i regolamenti del posto di lavoro
  2. Selfie o foto taggata in situazione controversa (es: in evidente stato di ebbrezza)
  3. Commenti su tematiche controverse (stupefacenti, razzismo, discriminazione di genere….)
  4. Selfie o foto taggata in atteggiamenti informali (es. costume da bagno ed oltre….)

Resta il fatto che che si cerchi lavoro o meno bisogna fare attenzione a quello che si rende pubblico, anche perché presto ci sarà un report in cui si dirà che si compra di meno da chi ha profili o pagine facebook fatte male o controverse.

vindieselPerò ricordo che una selezione è una gara in cui il premio va (quasi sempre) solo al primo classificato, quindi cito Vin Diesel in un Fast and Furious “Chi se ne frega se vinci di un secondo oppure con un miglio di vantaggio. Vincere è Vincere”.  E queste cose possono diventare metaforicamente decimi, secondi o minuti di distacco. 

Per il selezionatore

La prima domanda è: ne vale la pena?

Se si volesse essere rigorosi forse sì, se si vuole essere pratici diciamo pure che dipende dal profilo che si sta cercando e dall’azienda mandante.

Non è uno scandalo se per certe posizioni viene da anni richiesto il casellario penale, per altre è fondamentale l’assenza di carichi pendenti, in altri sono necessarie le certificazioni mediche sullo stato della salute. Sono cose molto molto private in senso stretto del termine, ma è comprensibile che vengano richieste. Lo stesso principio dovrebbe valere anche nelle selezioni “normali”.

Nella pratica si possono pure chiedere anche i riferimenti social dei candidati, come pure fare una verifica prima, prestando attenzione alle omonimie. La seconda via permette, in teoria, di perdere tempo in colloqui inutili a fronte di gravi informazioni, ma non è mai esaustiva. La prima porta ad una indagine approfondita sui candidati finalisti.

Io di solito faccio una ricerca rapida preliminare che ha lo scopo non di scovare debosciati, ma di farmi un’idea del profilo che sto per incontrare, poi se serve passo ad una indagine più accurata in un secondo tempo e, se emerge qualcosa affronto l’argomento direttamente.

La via più semplice, a mio avviso è usare google prima di tutto: digitare una ricerca con nome e cognome, poi raffinarla via via con data di nascita, residenza, aziende in cui ha lavorato. Si ottengono risultati sorprendenti, e ci si fa anche una idea del percorso del candidato nel tempo, senza restare bloccati da un commento fuori luogo fatto una sola volta.

Conclusioni

Ricercare nei social rappresenta una indebita o non necessaria intrusione nella privacy dei candidati?

Comunque la si voglia vedere la risposta è no.  In realtà la domanda “ne vale la pena?” è la chiave di tutto: per me vengono prima le competenze e il potenziale. Se il candidato è forte ed è tecnicamente in grado di fare molto bene in azienda POI valutiamo la reputazione social. Il peso di questa valutazione va commisurata alla REALE discrasia con il profilo ideale, ai potenziali impatti e, soprattutto la presenza di “macchie” diventa decisiva se a concorrere per il posto ci sono più candidati con rating equivalente. Ecco, in questo caso  postare la foto del vostro addio al celibato mentre si fa la vittima sacrificale, pre coma etilico, per un gruppo di sacerdotesse del sesso, potrebbe avere una certa qual rilevanza. Ma se il candidato ha le esperienze perfette, tutti i titoli, l’età giusta, un costo di acquisizione conveniente, abita vicino, parla fluentemente lo swaili e noi dobbiamo lavorare in Tanzania, vale la considerazione che ci si sposa di media meno di una volta nella vita….

Bibliografia consigliata

Giovanni Sangiorgi
Head hunter
Head Hunter ed esperto di ricerca e selezione di personale. Ho lavorato come dipendente sia in grandi gruppi (Gruppo Ferruzzi, Gruppo Crif) che in piccole aziende. Nel 2000 ho coniugato la mia predisposizione alla selezione del personale con le nuove tecnologie collaborando alla creazione dei primi portali dedicati all’e-cruitment. Poi mi sono dedicato in proprio alla ricerca e selezione del personale alternando interventi di consulenza direzionale in azienda, risolvendo problemi legati alle risorse umane, all’organizzazione ed alle attività commerciali. Dalla fine del 2014 in parallelo ho lanciato il progetto trova-lavoro.info, una virtual ONG per aiutare chi cerca lavoro.

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