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Come migliorare il nostro problem solving
Un allenamento intellettuale
Quando ci troviamo di fronte ad un problema, ognuno di noi mette in moto un processo decisionale con l’obiettivo di arrivare ad una soluzione. Se quest’ultima risulta efficace, riusciamo a contenere i costi a fronte di buoni risultati. La capacità di saper arrivare alla decisione vincente è una soft skills tra le più ricercate nel mondo del lavoro. Come possiamo “allenare” il nostro problem solving?
Il problem solving è la capacità di saper trasformare efficacemente una situazione che presenta un problema in un’altra che ne è priva. Una definizione cosi generosamente inclusiva ci pone di fronte ad una domanda: cos’è un problema?
Se non sappiamo cosa cercare, possiamo avere anche il miglior ventaglio di soluzioni possibili, ma la scelta tra queste sarà più o meno casuale. Una richiesta vaga avrà sempre una conclusione vaga. Ad esempio, se ci viene chiesto di acquistare una pietra preziosa di colore blu, possiamo rivolgerci ad un orefice e chiedergli topazi, lapislazzuli, acquamarina. Tutte scelte valide, ma chi ci dice quale tra queste sia quella migliore? Possiamo acquistarle tutte, ma questa non sarà una decisione efficiente, perlomeno non per le nostre tasche. Questo ci obbliga a considerare che:
Definire il problema in maniera chiara è la condizione necessaria per arrivare ad una soluzione efficiente. Usiamo la regola delle 5W, domandiamoci: che cosa? Chi? Dove? Quando? Perché?
Dopo aver definito nel dettaglio qual è l’aspetto della situazione che vogliamo modificare, possiamo iniziare a considerare la ricerca della soluzione. Secondo il modello razionale, la soluzione ottimale per massimizzare il risultato può essere raggiunta in 4 step:
- Definire il problema
- Ricercare le soluzioni possibili
- Valutare le alternative in base a criteri predefiniti
- Scegliere la migliore soluzione
Il problema di questo approccio è duplice. In primo luogo assume di avere criteri chiari per effettuare una cernita delle alternative, circostanza che nella vita quotidiana non è sempre presente. Inoltre, presuppone una assenza di vincoli: la soluzione che ne deriverà sarà probabilmente ottimale, ma a fronte di costi elevati o tempi lunghi.
Consideriamo l’approccio razionale per guidare le nostre decisioni solo se abbiamo molte risorse da investire e se vogliamo massimizzare il risultato. Ad esempio, se vogliamo stabilire quale persona sia più adatta per svolgere una certa mansione, consideriamo i possibili candidati e selezioniamoli secondo criteri specifici come esperienza, percorso di studi, personalità ecc.
Un’alternativa al modello razionale è il modello euristico. Quest’ultimo assume delle condizioni molto più “mondane” rispetto al modello precedente, ad esempio considera che le soluzioni disponibili sono sempre limitate e non necessariamente sono quelle migliori in assoluto, perché le informazioni che abbiamo non sono mai perfette. Questo approccio non presenta un modello articolato come quello razionale: una volta definito il problema in maniera chiara e valutate le soluzioni possibili, la scelta finale è quella che soddisfa dei “requisiti minimi” che noi stessi riteniamo accettabili. Il modello euristico, a fronte di un sacrificio in termini di ottimizzazione costi-benefici, ha il vantaggio di riuscire a raggiungere decisioni immediate ed efficienti.
Consideriamo l’approccio euristico per tutte quelle decisioni in cui il risultato non necessita di essere il migliore possibile, ma quello più velocemente realizzabile. Ad esempio, se ci viene chiesto di acquistare dei macchinari necessari per la continuazione dell’attività produttiva, molto probabilmente sarebbe inutile considerare i prezzi di tutte le aziende su scala nazionale perché richiederebbe moltissimo tempo. La necessità imminente di riavviare l’attività ci porterà a comprare i primi pezzi che soddisfano il budget a disposizione.
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Considerati gli approcci più comuni impiegati nel processo decisionale, come possiamo migliorare il nostro problem solving?
Ovviamente ogni problema è unico e, in quanto tale, lo dovrà essere anche la soluzione. Ciononostante, migliorare il proprio problem solving è possibile aumentando la consapevolezza delle proprie distorsioni cognitive. Questi “errori” (bias se vogliamo essere tecnici) sono delle “scorciatoie” che la nostra mente compie autonomamente per risparmiare risorse cognitive e arrivare velocemente ad una decisione. Nessuno ne è immune, ma questo non significa che non possiamo farci più attenzione: è possibile, infatti, allenare la nostra capacità di sapere riconoscere i nostri bias attraverso la pratica e la costanza – un vero e proprio allenamento intellettuale.
Vediamo ora quali sono le distorsioni cognitive più comunemente coinvolti nel processo di problem solving:
- Errore fondamentale di attribuzione: attribuire i nostri successi a fattori interni e gli insuccessi a fattori esterni. Riconoscere questo bias è fondamentale: dobbiamo riconoscere i nostri punti di forza, ma anche i nostri punti di debolezza, altrimenti non riusciremo a migliorare il nostro processo decisionale.
- Razionalizzazione: giustificare scelte sbagliate successivamente rispetto a quando sono state commesse, per non ammettere che si poteva agire diversamente e meglio. Se qualcuno critica il nostro operato, non reagiamo mettendoci sulla difensiva e proteggendo a tutti i costi la nostra soluzione. Potremmo aver ragione come aver torto, ascoltiamo e se la critica sembra essere costruttiva, possiamo chiedere un parere terzo.
- Bias di conferma: la tendenza a ricercare solamente le informazioni che confermano le nostre ipotesi di partenza, non considerando tutte quelle che potrebbero falsificarle. Se non riusciamo a contenere questa distorsione, potremmo perdere soluzioni creative che non abbiamo considerato inizialmente.
- Bias dell’ottimismo: la tendenza a considerare solo i feedback positivi delle nostre decisioni, non considerando tutti quelli negativi. Il rischio è quello di aumentare la propensione al rischio oppure di non modificare le nostre scelte in corso d’opera, ottenendo esito negativo.
Per alcuni il problem solving è una caratteristica innata, per altri no. Questo però non deve essere un pretesto per accontentarsi dei propri limiti, anzi: riconoscere le proprie debolezze è il primo passo per migliorarsi. “Saggio è colui che sa di non sapere” diceva Socrate. Seguire questi piccoli accorgimenti e metterli in pratica quotidianamente, può allenare la nostra capacità di saper rispondere ai problemi e, forse, renderci anche un po’ più consapevoli di noi stessi.
Bibliografia consigliata:
- “M. Pilati, H. L. Tosi: Comportamento Organizzativo: Individui, Relazioni, Organizzazione e Management”
- “D. G. Myers: Psicologia Sociale”
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