Come usare la valutazione per demotivare
La motivazione del personale è una spina nel fianco per molte organizzazioni. Spesso, basterebbe gestire con più trasparenza e attenzione il momento della valutazione per avere dipendenti ben disposti a collaborare e migliorarsi. Non sono in tanti, però, i valutatori che agiscono in modo lungimirante. Ed infatti, quando la valutazione è un puro atto formale, la demotivazione è dietro l’angolo.
Quest’estate, un mio conoscente impiegato in un Ente Regionale, parlando del più e del meno, mi racconta con toni appassionati che il suo nuovo Dirigente, in occasione dell’ultima valutazione delle prestazioni lavorative, ha deciso di diminuirne il punteggio (da 72 degli anni precedenti a 65). Sorpreso per questo “declassamento” decisamente inaspettato, si è rivolto prontamente al suo capo per avere spiegazioni in merito.
“Perché sono tirchio” è la motivazione ricevuta in risposta dal Dirigente, senza aggiungere altro. Anziché demordere, questo dipendente ha replicato riportando e dettagliando al suo valutatore tutte le mansioni di cui si occupava e chiedendo in quali attività, nel concreto, avesse fatto meno bene rispetto al passato. Ma il Dirigente, prestando poco orecchio ad ascoltarne le motivazioni, gli ha ribadito che non aveva nessuna intenzione di rivedere il punteggio già assegnato, liquidando in modo sbrigativo il loro colloquio.
Neanche troppo velatamente, il mio conoscente ha aggiunto che, da quel momento, il suo modo di affrontare le ore di lavoro è cambiato: man mano, ha ridotto la quantità del suo impegno in azienda e conta di continuare sulla via del “fare il minimo indispensabile”.
Tanto ha accusato il colpo che, rincontrandola casualmente poco tempo fa, questa persona non ha mancato di riparlarmi di questa sua vicenda lavorativa e di questa valutazione ingiustificata, di cui ancora non si capacita.
Naturalmente, avendo a che fare ogni giorno per lavoro con organizzazioni e risorse umane, questo episodio non mi è passato inosservato. Perché la demotivazione palpabile che, di fatto, l’ultimo giudizio ricevuto ha causato in questo dipendente è legata a doppio filo al senso, al valore e all’utilità che ogni azienda riconosce (o meno) al sistema di valutazione di cui si è dotata. E al rischio, dimostrato bene da questo caso, di trasformare uno strumento potenzialmente efficacissimo in un boomerang, se chi lo deve applicare non ha la capacità o la sensibilità di gestirlo con buon senso e trasparenza.
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Valutazione: qual è il senso?
Qual è l’obiettivo dei sistemi di valutazione e incentivazione introdotti da tempo in molte aziende?
Sulla carta, valorizzare le proprie risorse umane, spingendo ogni collaboratore a migliorare le sue prestazioni. Un obiettivo più che positivo e legittimo che ha però un grosso punto critico: sono ancora poche le organizzazioni che interpretano con le logiche corrette il sistema in base a cui misurano e valutano le performance dei propri collaboratori. Nella cultura aziendale, di fatto, manca una vera educazione su come valutare; questo porta molti dirigenti ad usare in modo inappropriato e spesso improvvisato i sistemi premianti, vissuti più come una “incombenza da adempiere” piuttosto che come un mezzo valido per motivare e riconoscere l’impegno di ogni dipendente.
Una situazione che diventa ancora peggiore se parliamo di valutazioni e premi nella Pubblica Amministrazione: la Riforma Brunetta, infatti, introducendo in maniera forzosa l’obbligo di valutare i dipendenti, ha snaturato ancora di più il senso di questa attività riducendola ad un “atto dovuto”; il risultato di questa imposizione mal compresa e scorrettamente assimilata è che, spesso, il Dirigente assolve a questo compito in modo sbrigativo, con valutazioni “appiccicate a sputo”. Magari, sulla base di sentiment non oggettivi o della propria indole personale, come accaduto appunto nel caso del punteggio attribuito al mio conoscente.
Chiaramente, constatare che i sistemi di valutazione al giorno d’oggi hanno uno “stato di salute” precario, perché molti responsabili aziendali non ne afferrano ancora la potente leva motivazionale, non deve servire come pretesto per perseverare con approcci inadeguati! Il contesto esterno, pur con i suoi limiti, non dispensa nessuno di noi dal fare la propria parte per adottare comportamenti utili per migliorarsi e dare occasione agli altri di fare altrettanto.
Valutare “tanto per farlo”: quali danni (e come uscirne)
Tornando al caso specifico del mio conoscente, quali sono gli errori che ha commesso quel Dirigente? E, soprattutto, cosa avrebbe potuto fare di diverso?
Un passo necessario, anzitutto, è quello di uniformare il più possibile i criteri di valutazione. Per questo, sarebbe stato saggio e profittevole, da parte del nuovo valutatore, dedicare qualche minuto a prendere informazioni sui punteggi/giudizi assegnati fino a quel momento dal precedente Dirigente, confrontandosi col collega in merito ad essi.
Questo gli avrebbe permesso di mantenere la sua credibilità, motivando con cognizione di causa il suo giudizio, sulla base di valutazioni più oggettive che non un imbarazzante “sono tirchio”.
Una risposta che banalizza e toglie valore a tutti:
- al Dirigente che, in questo modo, mostra di non sapere cosa sta facendo e, quindi, perde automaticamente di autorevolezza;
- al dipendente che vede diminuire la considerazione che l’azienda ha di lui senza capirne il perché;
- alla stessa Organizzazione che fa arrivare ai suoi collaboratori il messaggio che alcune cose devono essere fatte così e basta, senza che nessuno ne capisca il senso.
Fatte tanto per fare, senza un obiettivo che ne giustifichi l’impegno, le ore dedicate alla valutazione sono peggio che aria fritta: un inutile spreco di tempo e di risorse che non giova a far lavorare meglio e con migliori risultati tutta l’organizzazione.
Per chi è accorto, però, il momento della valutazione è tutt’altro che una perdita di tempo: correttamente applicato, è un’ottima occasione fra responsabile e dipendente per chiarirsi circa le reciproche aspettative.
E per il Dirigente, anche un’opportunità importante per indirizzare con precisione ogni risorsa umana verso miglioramenti specifici di performance o verso nuovi comportamenti da adottare.
Passare da valutazioni d’impulso o scollegate dalla realtà dei fatti, che agli occhi del personale facilmente passano per giudizi fine a sé stessi, all’esprimere ai dipendenti le proprie osservazioni (oggettive e misurabili) su quanto fatto o non fatto, è un buon primo passo per motivare il personale in modo franco, salvaguardando le relazioni e il benessere organizzativo.
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