Diversity & Inclusion E’ possibile eliminare i pregiudizi dei recruiter attraverso la tecnologia?

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Diversity & Inclusion

E’ possibile eliminare i pregiudizi dei recruiter attraverso la tecnologia?

di Beatrice Suardi 

Diversity & Inclusion, sono alcuni anni che questi termini sono entrati a far parte del linguaggio corrente delle più grandi aziende internazionali, dove recentemente abbiamo assistito alla creazione di ruoli come il Diversity Manager.

Tali aziende hanno capito per prime i benefici di una forza lavoro eterogenea e di una cultura inclusiva. In Italia, uno dei paesi più conservatori dell’Unione Europea, un grande ostacolo alla creazione di un organico variato è rappresentato dalla fase di assunzione del personale.

Lo scopo di questo articolo è mostrarvi come una delle tecnologie già in uso nelle aziende di medie/grandi dimensioni in Italia, può esser utilizzata per ridurre i pregiudizi dei recruiter in questa fase di sbarramento.

Diversity & Inclusion, lo stato dell’arte in Italia

I dati sulle aziende che praticano politiche di Diversity & Inclusion in Italia collocano il nostro paese al primo posto in Europa.

Oltre i due terzi delle 90 aziende certificate Top Employers in Italia adottano pratiche che incrementano la D&I aziendale, ben al di sopra della media europea del 61%.

Tuttavia questa statistica potrebbe non riflettere la situazione generale del panorama italiano.

Se guardiamo ai dati raccolti su un campione più ampio ed eterogeneo (che non compre solo imprese che già eccellono per le loro pratiche HR) da parte del Diversity Management Lab, centro di competenza di SDA Bocconi, le imprese che dichiarano di adottare politiche per la diversità rappresentano solo il 21% delle intervistate. 

Questa percentuale è di certo più in linea con i dati sulla situazione di discriminazione ancora in atto nel nostro paese.

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Quali benefici apporta la Diversità in azienda?

Secondo gli ultimi studi a riguardo, le aziende che praticano la valorizzazione della diversità e l’inclusione nelle loro aziende guadagnano di più in termini di fatturato, attrazione di talenti e ritenzione degli impiegati, reputazione e brand loyalty.

Secondo le ricerche svolte dal Diversity Brand Summit, le aziende italiane inclusive, grazie all’immagine che trasmettono ai consumatori, realizzano fino al 17% dei ricavi in più rispetto ad aziende che discriminano.

L’indice Diversity & Inclusion elaborato da Thomson Reuters a livello mondiale dimostra poi che le imprese più inclusive hanno risultati in Borsa superiori alla media, correlazione valida anche per le imprese operanti sulla Borsa Italiana.   

Come riferisce poi l’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico, le aziende che hanno raggiunto la parità di genere hanno riscontrato un aumento del ROE del 35% e un aumento del 34% dei rendimenti aziendali totali.

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Recruiting, il primo step in cui incrementare la diversità

Visti i benefici della Diversity & Inclusion sulla performance aziendale, come possono le imprese adottare queste pratiche ed andare al di là dei pregiudizi?

Si tratta innanzitutto di un cambiamento culturale che deve far leva sui pregiudizi propri e dei dipendenti in azienda. Una delle prime aree che dovrà esser investita dal cambio culturale sarà il team di recruiting.

I recruiter possono infatti avere degli unconscious bias che li portano a scartare direttamente per esempio candidati con origine straniera o donne per alcune posizioni reputate più mascoline.

Nel 42% dei casi un recruiter decide di selezionare un determinato candidato non in base a fatti oggettivi ma sulla base di categorie mentali precostituite.

Una delle distorsioni più comuni è il similarity bias, che porta il selezionatore ad assumere persone che sono simili a lui per origine, età, educazione, ecc., inficiando sulla diversità aziendale.

Tali politiche discriminanti sono spesso inconsce, ed è per questo che ultimamente si sono sviluppate pratiche come il blind recruiting, una tecnica di  selezione dove vengono omesse alcune informazioni sui candidati come il nome, il genere, l’origine…

Eliminare i pregiudizi grazie ad un ATS

Sebbene studi recenti dimostrino come l’intelligenza artificiale possa incorporare gli unconscious bias del recruiter, la tecnologia può ancora venire in soccorso alle aziende che vogliono agire sui pregiudizi dei loro impiegati.

Una configurazione non standard degli ATS per esempio, già utilizzati da un gran numero d’imprese in Italia, potrebbe risolvere il problema per molte aziende.

Il recruiting software che state attualmente utilizzando nella vostra azienda potrebbe esser infatti configurato in modo tale da nascondere al recruiter determinate informazioni, a seconda del fattore di diversità che si vuole accrescere all’interno della vostra azienda.

Se si vuole per esempio aumentare la differenza di genere e dai dati risulta che la maggior parte dei candidati selezionati da un determinato recruiter sono uomini, si dovrebbe configurare il vostro ATS mascherando il campo “genere” per quel determinato utilizzatore.

Bibliografia consigliata

Beatrice Suardi
Appassionata di tecnologia e marketing, mi occupo dello sviluppo internazionale di Inasoft, società sviluppatrice di software per il recruiting.

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