Riformazione (la fabbrica del dubbio)

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Riformazione

(La fabbrica del dubbio)

“Questo è l’apprendimento.
All’improvviso capisci qualcosa che avevi
capito da sempre, ma in un modo diverso”.

(Doris Lessing)

di Giovanni Di Muoio

Stai guidando, da solo. La strada è una di quelle Provinciali, un po’ nascosta, una striscia d’asfalto in mezzo al niente che trovi però rassicurante. Il tempo scorre lento, hai tempo per pensare, guardare il paesaggio che si muove in direzione opposta al tuo senso di marcia. Ti sembra di esserci già stato ma non riesci a dare un collocazione spazio-temporale a quel ricordo. Poi si accende una spia arancione a rammentarti che sei entrato in riserva. Ti fermerai più avanti, al prossimo distributore per fare rifornimento, sgranchirti un po’ le gambe, magari una generosa dose di caffeina ti aiuta a riprendere il viaggio.

Potrebbe essere una buona metafora per spiegare la mia idea di Formazione. Un posto che assomiglia a un’oasi in mezzo al deserto dove ricaricare le batterie, placare la sete, ripartire. Forse. Dico forse perchè la ripartenza è sempre un momento spiazzante che ci mette di fronte a delle scelte e una di queste è anche quella di arrestare il viaggio, fermarsi. Che vadano avanti quelli che hanno più fretta di noi, più urgenza di arrivare a un traguardo dove però nessuno li aspetta per festeggiare.

La Formazione è quindi soprattutto un luogo e come tale dobbiamo immaginarlo. Un luogo avulso dal contesto, possibilmente lontano, un luogo diverso da quelli che abitualmente frequentiamo. Non è un caso che la maggior parte delle Aziende colloca la propria Academy in posti periferici o in ogni caso lontano dagli agglomerati organizzativi brulicanti di personaggi che vagano senza una meta apparente. Un luogo dove potersi dedicare a discipline che hanno quasi dell’esoterico, un qualcosa che ha a che fare con la figura dell’alchimista che miscela sostanze molto diverse tra loro ma che combinate insieme funzionano. Un mix di competenze, attitudini e invenzioni il cui obiettivo non è semplicemente formare le persone ma contribuire a trasformarle facendole diventare quello che realmente sono, sembra un ossimoro ma non lo è. Provare a farlo è già un risultato, farlo bene sconfina nell’arte ed è per questo motivo che il Formatore, quello che prende sul serio il proprio mestiere e che riesce a scalfire la corteccia dura di chi partecipa non per scelta ma perchè lo ha mandato qualcun altro, dovrebbe essere pagato molto bene. E ringraziato.

La realtà è che invece abbiamo finito per sposare la filosofia delle compagnie aeree low cost dove persone e bagagli non hanno lo stesso prezzo, il bagaglio vale molto di più e se per caso ci fosse una turbolenza e si dovesse decidere chi sacrificare tra persone e bagagli, nessuno avrebbe dubbi, giù le persone, in salvo i bagagli perché hanno un valore più alto e noi siamo stati catechizzati nel perseguire il valore ad ogni costo, è un mantra che abbiamo ampiamente interiorizzato e illumina come un faro il nostro percorso accidentato.

La crisi della Formazione sta tutta nel reiterato e caparbio tentativo di banalizzarla. Nel dubbio, quando annaspiamo alla ricerca di soluzioni, decidiamo di formare le persone e cerchiamo di venderla come una meravigliosa opportunità senza preoccuparci degli effetti concreti che una Formazione scollegata dalla realtà produce in termini di impatto sia sul singolo che sull’intera Organizzazione. Lo facciamo spesso formando un gran numero di persone utilizzando le più recenti tecnologie realizzando quella Formazione a pioggia la cui reale utilità è prossima allo zero e non per una questione di contenuti quanto per il solco profondo che produce in termini di appeal. Il rischio è che le persone trasformino un’occasione di crescita potenziale in una delle tante attività mandatory e questo ha una sola spiegazione plausibile: non viene percepita l’utilità nel lungo periodo e quindi non si concretizza l’esperienza del life long learning che caratterizza in positivo l’esperienza di apprendimento. 

È per questo motivo che oggi più che mai la Formazione dovrebbe essere selettiva e meritocratica, serve recuperare quel senso d’orgoglio nell’essere scelti o anche essere in grado di scegliere consapevolmente un percorso di Formazione, magari anche distante dal ruolo che attualmente si ricopre, ma che aiuta la persone a districarsi negli ingorghi a croce uncinata che sono diventati i nostri modelli organizzativi.

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Ci sarebbe molto da discutere anche sul tema dell’efficacia che spesso si riduce in formule contorte che hanno l’obiettivo di misurare un eventuale ritorno sull’investimento. Non credo sia questo il principale problema perchè se avvertiamo l’esigenza di misurare qualcosa è solo perchè siamo i primi a non crederci.

Riproponiamo schemi vetusti a problematiche del tutte nuove. Ad esempio ci scopriamo masochisti nel voler rinchiudere come animali in gabbia i nostri collaboratori per fargli vivere un’esperienza immersiva non tanto dal punto di vista didattico quanto per metterli di fronte a una prova di sopravvivenza nel dover resistere otto ore (un’intera giornata lavorativa) in un’aula asettica dagli improbabili sfondi Teams come la sala d’attesa di un oculista con le pareti tappezzate di fogli mobili di chi ci ha preceduto e ha lasciato su quei fogli un Help scritto col pennarello rosso indelebile a simulare una ferita che sanguina e non vuole sapere di rimarginarsi.

Oggi guardiamo al futuro con una certa preoccupazione, ci siamo scoperti digitalmente inadeguati al punto che la maggior parte dei budget dedicati alle attività formative si sono concentrati nel tentativo di ridurre questo gap e recuperare molto velocemente quella competitività che certamente non ha gli stessi tempi di attesa che abbiamo all’interno delle Organizzazioni. Il cambio di paradigma è stato evidente, abbiamo come sistema  puntato sul mezzo, sullo strumento, dando per scontato, specie sulla popolazione che ricopre ruoli di responsabilità, che quelle stesse persone abbiano la capacità di traghettarci verso il futuro.

Io credo che la fase che stiamo vivendo sia una straordinaria occasione per una profonda revisione della classe dirigente e questa revisione passa anche attraverso momenti formativi caratterizzati da una profonda discontinuità.

Capita spesso di lamentarci in certe riunioni autoreferenziali che uno dei problemi più evidenti all’interno dei contesti organizzati è una sostanziale debolezza del Middle Management. Se questo risponde al vero dovremmo interrogarci come famiglia HR dove eravamo quando queste scelte venivano fatte. Quale alibi possiamo portare a nostra discolpa. Non occorre essere particolarmente cerebrali per capire come buona parte delle scelte Manageriali siano state compiute ragionando unicamente sul sistema di competenze attuali, senza quell’esercizio fondamentale di considerare quella scelta prospettica anche in termini di spendibilità interna. Risultato è che abbiamo creato un numero molto elevato di Manager praticoni, con competenze anche solide rispetto ai task assegnati, ma deboli nel portare avanti logiche inclusive, spesso incapaci di spiegare il futuro perché poco chiaro anche a loro e soprattutto poco adattabili.

Allora mi chiedo cosa può fare la Formazione? Una delle risposte potrebbe essere quella di intervenire nel dare rotondità a quei ruoli manageriali, cercando di colmare le aree di miglioramento dei singoli individui. Una soluzione a buon mercato spesso presente nei cataloghi formativi delle Aziende e nelle interlocuzioni spesso stereotipate con i propri HR Business Partner di riferimento. Concettualmente non fa una grinza. Ma cosa ha prodotto questo tipo di approccio?

La mia chiave di lettura è che negli anni, adottando questo tipo di impostazione, abbiamo perseverato nel voler colmare a tutti i costi quel divario così evidente e la cosa peggiore è che abbiamo continuato a farlo anche quando le persone hanno smesso di seguirci e hanno vissuto questa situazione come una delle tante attività mandatory. Per semplificare a chi non è in grado di realizzare un Cerca-Vert su Excel è stato assegnato come obiettivo quello di fare l’ennesimo Corso di Excel avanzato, chi come Manager si trova oggi ostaggio delle proprie persone perché non riesce ad esprimere una Leadership adattiva ha avuto come obiettivo quello di partecipare per l’ottava volta a un corso preconfezionato sulla Leadership. Al decimo probabilmente ti porti a casa un orsacchiotto di peluche.

Allora sarebbero forse maturi i tempi per rovesciare questa impostazione e lavorare per consolidare i nostri punti di forza che non significa abbandonare quell’area grigia dove non ci sentiamo confidenti, ma lavorare su una dimensione che aumenti le nostre sicurezze e ci faccia vivere più compiutamente l’esperienza Manageriale o anche da semplice Follower.

L’idea quindi di lavorare su una dimensione duale di Leadership, una più tecnica e l’altra più manageriale consente di rafforzare il sinallagma che lega gli obiettivi individuali a quelli organizzativi e non è uno scandalo immaginare che queste due dimensioni siano affidate a due persone distinte all’interno della stessa unità organizzativa secondo il principio della Leadership diffusa. Ovviamente è un esempio di come calibrare interventi formativi su scenari in continua evoluzione e caratterizzati da un approccio sempre più agile.

Non è quindi un problema quantitativo ma soprattutto qualitativo specie se adottiamo la modalità della Microformazione che ha ormai mandato in soffitta lo schema di formazione impiegatizia che tendeva a vincolare la persona per un tempo lunghissimo con ricadute imbarazzanti sull’apprendimento e questo è uno dei pochissimi casi in cui dovremmo essere quasi grati alla pandemia che ci ha fatto scoprire che lì fuori c’è un mondo e che questo mondo è popolato di esseri che parlano la nostra stessa lingua bastava solo metterli in connessione.

Per questo motivo vanno rivisti completamente i razionali e investire nella Formazione non significa semplicemente assegnare risorse economiche o recuperare denaro che poi era già nostro dai Fondi Interprofessionali, quanto quello di popolare in primis le strutture di Formazione con professionisti in grado di prendersi cura dell’altro contribuendo al processo di trasformazione del capitale umano aperto al cambiamento e a nuove sfide. Non c’è nulla di banale in tutto questo anzi è una presa in carico di responsabilità, richiede capacità, impegno, visione strategica e anche una buona dose di umiltà.

Luoghi dove la diversità viene celebrata quotidianamente e dove magari viene anche declinata con esempi concreti, un luogo dove poter parlare di purpose e di senso, luoghi da cui si esce con delle domande più che con delle risposte stereotipate, immaginatela come una gigantesca fabbrica del dubbio.

Forma & Azione. Si torna lì, dove tutto ebbe inizio, sull’etimologia di questi due termini che rappresentano la dimensione del conflitto tra due scuole di pensiero. La Forma intesa proprio come formalismo, come didattica stereotipata che tende a fornire risposte codificate ma senza interrogarsi sul reale significato. E poi l’Azione che rappresenta l’aspetto dinamico del problema, quel tentativo di contestualizzare, dare un senso, fornire non la soluzione ma gli strumenti che permettono al singolo di potersi orientare, di sentirsi persona prima che dipendente. Ho pensato che il termine Riformazione oltre ad avere un suono rassicurante spiega meglio di altre parole i tempi che stiamo vivendo. Immaginatela come una tela vuota da riempire o uno spartito senza le note.

Immaginare non costa nulla e nutre l’anima.

Immaginatela come un qualcosa di Muscolare, con l’obiettivo dichiarato di irrobustire le persone che dovranno poi sostenere il peso del cambiamento senza farsi travolgere, logica conseguenza è che perde di significato la divisione scolastica tra Soft e Hard Skills dove paradossalmente le Hard Skills sono diventate Soft e queste ultime sono mutate in Hard; più giusto parlare di atteggiamento adattivo che diventa il combinato disposto di queste due dimensioni. Muscolare, è bene chiarirlo, non significa appesantire o aggiungere, anzi per come la vedo io dovremmo iniziare a preoccuparci dell’esatto contrario. Siamo davvero sicuri che lo schema vincente sia quello di continuare ad aggiungere contenuti?

Credo siano maturi i tempi, se davvero vogliamo occuparci seriamente di persone, di iniziare a lavorare su una dimensione di leggerezza da non confondere con la superficialità. Leggeri significa provare a togliere nelle persone quell’insieme di sovrastrutture, bias, abitudini tossiche che ci rendono impacciati nell’affrontare momenti sempre più frequenti d’incertezza. Una formazione che deve poi evolvere verso una dimensione Generativa. La Formazione genera cambiamento quando si compie e si certifica quel necessario processo di trasformazione e noi dobbiamo essere in grado, come succede nello sport, di allenare questa dimensione, tenerla viva e renderla disponibile a tutta l’Organizzazione mediante la Cross Fertilizzation.

Dovremmo parlare sempre di più di Formazione Distillata in purezza o di Bio-Formazione eliminando tutto ciò che non serve, asciugando i contenuti con l’obiettivo di certificare il processo come 100% utile e questo al di là della modalità di fruizione.

In ultimo la Formazione deve diventare un Luogo aperto, dove potersi confrontare anche all’esterno e dove poter ragionare di contenuti non in maniera unilaterale come succede ora ma favorendo lo scambio di esperienze, la co-creazione di contenuti. Un luogo vivo capace anche di generare interesse e redditività e che si arricchisce del continuo confronto con gli altri.

Pensiamo, ad esempio, alla gestione dei Talenti. In ambito Formativo spesso troviamo in molte Aziende dei programmi dedicati, con un’offerta formativa open mind oriented. Ci sta. La diversificazione è ricchezza. Ma io dal talento mi aspetto altro. Per esempio che salga lui in cattedra a spiegarmi che cosa manca per fare di me (non parlo di me ovviamente) un vero talento con una spendibilità maggiore all’interno dell’Organizzazione. In sostanza sei talento non se fai le cose ma se provi a cambiarle ragion per cui il Talento è per me un evangelista del cambiamento la cui mission principale è quella di provare a convertire il maggior numero di miscredenti.

Sto estremizzando ma solo per stressare e rendere comprensibile il concetto.

Ora è tempo di riprendere il viaggio, a guardarti bene sembri sereno, troverai altri ostacoli e altri imprevisti lungo il tragitto ma non è un buon motivo per fermarsi. Forse – pensi guardando il cielo che minaccia pioggia – sarebbe meglio formarsi.

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Questo articolo è offerto da:

Giovanni Di Muoio
HR Business Partner presso BNL gruppo BNP PARIBAS
Giovanni Di Muoio, esperto di Narrazione d’Impresa, ha maturato una lunga e consolidata esperienza in ambito HR. Attualmente ricopre il ruolo di HR Business Partner in BNL ‒ Gruppo BNP Paribas, in precedenza ha lavorato in SIAE e come libero professionista. Ha collaborato con diverse testate su tematiche HR e ha pubblicato cinque libri di Narrativa. Specializzato in Short Stories ha ricevuto numerosi premi e riconoscimenti per la sua attività di scrittore

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