Come conviene valutare in ambito di selezione? Esiste il candidato ideale?

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Come conviene valutare in ambito di selezione? Esiste il candidato ideale?

di Francesco Puppato

È meglio puntare sulle competenze o sull’approccio? Questa domanda si sarà presentata un sacco di volte al momento di dover scegliere tra un candidato piuttosto che un altro.

Si cominciano a guardare le competenze presentate per capire quale percorso abbia fatto la persona che abbiamo davanti, gli hobby dichiarati per cercare di individuare i suoi tratti caratteriali, si fa un match con le aspettative retributive richieste, si prova a ponderare tutti gli aspetti e… si spera che la scelta effettuata sia quella migliore.

Da un lato è quasi impossibile riuscire a capire completamente una persona da uno o pochi colloqui, dall’altro è altrettanto quasi impossibile trovare il candidato ideale.

Tendenzialmente, infatti, si tende a ritenere un “buon candidato” una figura professionale che riesce ad esaurire circa l’80% dei desiderata espressi nella job description, dove la valutazione si basa sul CV, sui colloqui e su eventuali test che l’azienda decide di sottoporre ai candidati in base alla mansione da ricoprire.

La parte dei test, in questo caso, potrebbe essere un modo per evitare dei candidati che si sanno vendere oltre le loro reali competenze in fase di colloquio.

Se ci troviamo però nella situazione in cui si è indecisi tra dei candidati che hanno dei profili che sostanzialmente si equivalgono nella valutazione complessiva, è facile che ci si trovi a dover decidere tra competenze ed approccio.

È infatti possibile che un candidato abbia delle competenze più sviluppate (sia per percorso formativo che esperienze maturate), mentre l’altro dimostri delle attitudini migliori.
Che fare in questo caso?

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Un primo passo potrebbe essere quello di capire perché il profilo che risulta meno competente non abbia sviluppato le competenze indicate; se le cause risiedono in fattori come l’età, l’impossibilità passata nel frequentare studi di un certo tipo (motivi economi, famigliari, eccetera), non gli si può certo fare una colpa.

Soprattutto in questo caso, ma anche più in generale, allora si può dire che l’attitudine e l’approccio contino probabilmente di più delle competenze: se una persona dimostra di avere un approccio proattivo, motivato, energetico e volenteroso, può infatti recuperare il gap di competenze in poco tempo, sviluppando inoltre del potenziale che tra risultati e soddisfazione scaturisce un circolo virtuoso che crea valore aggiunto sia per l’azienda che per il lavoratore.

Al contrario, una persona anche altamente competente, se non ha nelle corde del suo carattere un approccio ed un’attitudine adatta (ad esempio fa il minimo indispensabile, oppure non vuole trasmettere la sua conoscenza al fine di far crescere tutta l’organizzazione, eccetera), rischia di rimanere una risorsa inespressa o comunque di rendere meno di quello che ci si aspetti.

In estrema sintesi, se le competenze si possono creare o recuperare, l’atteggiamento e l’approccio molto meno.

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Francesco Puppato
Vive in Polonia dove ricopre il ruolo di Lead Finance Controlling per una multinazionale del tabacco; laureato in Economia Aziendale, vanta 12 master tra cui uno in "Gestione delle Risorse Umane ed Organizzazione del Lavoro". Parla 4 lingue (italiano, inglese, polacco e francese) ed ha 6 certificazioni, tra cui quella di Coach. Founder di "General Magazine", collabora con diverse riviste.

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