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Gli Italiani e il controverso rapporto con lo Smart Working
di RisorseUmane-HR
Nel contesto del lavoro italiano, uno strano equilibrio sembra manifestarsi tra l’entusiasmo per il ritorno negli uffici e il timore di abbandonare completamente lo smart working.
Milano, con il suo ambiente urbano vivace, sembra esemplificare questa dualità, con un maggior numero di dipendenti che tornano nelle sedi aziendali rispetto ad altre grandi metropoli come New York o Londra.
La breve distanza casa-lavoro e l’accessibilità ai mezzi pubblici sembrano essere due fattori chiave che alimentano il desiderio dei giovani, specialmente quelli che lavorano in team, di trascorrere più tempo in azienda. Anche la posizione centrale e i servizi disponibili intorno all’ufficio sembrano essere degli incentivi per preferire il lavoro in loco rispetto allo smart working.
Ma anche in generale, in Italia, secondo un recente rapporto stilato dall’Osservatorio dello Smart Working del Politecnico di Milano, si evidenzia una forte diminuzione nel numero di lavoratori da remoto: quasi 500.000 persone in meno. Solo un misero 14,9% della forza lavoro rimane nel regno degli “smart workers”. Questo paradigma insolito ci invita a riflettere sulle radici profonde dell’identità lavorativa italiana.
L’Italia è sempre stata una terra in cui il senso di comunità, la connessione personale e il calore umano sono valorizzati. Forse, per alcuni, lo smart working ha sfidato questo senso di appartenenza e il desiderio di condividere spazi fisici con colleghi e amici.
D’altro canto, lo smart working ha dimostrato di portare benefici tangibili in termini di flessibilità e conciliazione tra vita lavorativa e privata. Molte persone hanno apprezzato la maggiore libertà nel gestire il proprio tempo e nell’evitare lo stressante spostamento quotidiano.
Potremmo quindi vedere questa complessa situazione come un richiamo all’equilibrio, un invito a trovare una sintesi armoniosa tra il lavoro in ufficio e lo smart working. Dovremmo riflettere su come incorporare i vantaggi di entrambe le modalità di lavoro per creare un ambiente lavorativo in cui ogni individuo possa esprimere il proprio potenziale al meglio.
I risultati del nostro sondaggio su LinkedIn (settembre 2023)
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Il Ruolo Cruciale dell’HR Manager
L’HR manager, in questa danza tra ufficio e remoto, ha un ruolo cruciale da giocare. Deve ascoltare le esigenze dei dipendenti, comprendere i benefici che entrambe le modalità di lavoro possono offrire e lavorare per sviluppare politiche che riflettano la complessità della forza lavoro italiana.
Forse, invece di vedere lo smart working come una minaccia al senso di comunità, potremmo abbracciare la tecnologia per creare nuove forme di connessione e collaborazione virtuale. Questo ci permetterebbe di coltivare relazioni significative anche a distanza e sfruttare il meglio di entrambi i mondi.
L’Italia sta attraversando una fase di transizione nell’adozione dello smart working. L’identità lavorativa italiana, radicata nella comunità e nel calore umano, si scontra con le opportunità offerte dalla flessibilità dello smart working. Trovare un punto di incontro tra questi due aspetti potrebbe essere la chiave per creare un ambiente lavorativo più inclusivo ed efficace per il futuro.
Ogni HR manager è invitato a porsi degli interrogativi, al fine di comprendere appieno il peculiare rapporto tra l’Italia e lo smart working e di sviluppare soluzioni innovative che bilancino le esigenze della forza lavoro e le sfide dell’ambiente lavorativo in continua evoluzione.
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💡 Rifletti!
- Come posso bilanciare la necessità di condivisione e connessione personale con il desiderio di flessibilità e libertà lavorativa?
- Quali sono le strategie migliori per incoraggiare l’adozione positiva dello smart working e massimizzarne i vantaggi per l’organizzazione?
- Come posso sfruttare la tecnologia per creare un senso di comunità e coesione tra i dipendenti che lavorano in modalità remota?
- In che modo le politiche aziendali possono essere adattate per rispondere alle esigenze e alle preferenze dei dipendenti riguardo allo smart working?
- Qual è il modo migliore per incoraggiare una cultura del lavoro basata sull’affidamento e la responsabilità, sia in presenza che in remoto?
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Bibliografia consigliata:
- Dimensioni dello smart working. Sfide ed esperienze per una transizione sostenibile
- Oltre lo smart working. Modelli di lavoro agile e sostenibile
- Remote Effective. La metodologia per uno smart working vincente
- Il lavoro da remoto. Aspetti giuridici e sociologici
- Smart agili felici. Il nuovo modo di lavorare che libera la vita
- Lo smart working comincia dall’ufficio. Gli spazi di lavoro nel modello ibrido
- Virtual team. Nuove sfide manageriali fra libertà e regole
- Gestire un team a distanza. Tecniche, strumenti e metodi per il lavoro agile
- Agile, Smart, da Casa. I nuovi mondi del lavoro
- La vita non è uno smart working. Ma le imprese possono imparare a non perdere l’occasione
- Smart working: mai più senza. Guida pratica per vincere la sfida di un nuovo modo di lavorare
- Smarting up! La smart organization: una nuova relazione tra persona e organizzazione
- Smart Working & Smart Workers – Guida per gestire e valorizzare i nuovi nomadi
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Credo che il giusto mix sia sempre la soluzione migliore (al netto di problemi come la distanza dal luogo di lavoro, i costi di trasporto, ecc.).
Alternare ufficio e smart working ci tiene secondo me più “attivi” (io quando studiavo alternavo lo studio a casa con quello in biblioteca perché notavo che mi aiutava la concentrazione).
Chiudo con una domanda: non tutti possono purtroppo usufruire dello smart working (in una classica azienda produttiva, ad esempio, gli impiegati lo potranno fare ma un addetto alle macchine no): c’è chi ritiene non sia democratico, chi invece sostiene che certi “privilegi” spettino a chi ha una formazione più elevata e/o ricopra ruoli di più alta responsabilità e che comunque quando si accetta un’offerta di lavoro si sappia già a cosa si andrà incontro.
Secondo voi, chi non può fare smart working dovrebbe avere una sorta di compensazione sotto altra forma o il lavoro che svolgiamo è frutto di ciò abbiamo fatto e facciamo?